Curiosità n°1:

Tutti conoscono il leggendario racconto di Platone, il resoconto che ci ha lasciato di una conversazione avvenuta due secoli prima dei suoi tempi tra Solone, un grande statista greco, e un sacerdote egiziano che rappresenta la prima descrizione scritta di un continente chiamato Atlantide.

Il sacerdote parlava di un continente insulare più vasto dell’Australia che si sarebbe trovato nel centro dell’Atlantico, a ovest delle Colonne d’Ercole, cioè dello Stretto di Gibilterra, come lo chiamano oggi. Alcune migliaia di anni fa, quel continente sarebbe stato distrutto, sprofondando nell’oceano dopo un grande terremoto. Questo è un enigma che ha tormentato tutti coloro che credevano nella sua veridicità, mentre è stato oggetto di derisione da parte degli storici che concordano con la tesi secondo la quale Atlantide rientra nel campo della fantascienza.

Ma è davvero così?

Non esiste la minima base geologica che avvalori l’esistenza di un continente perduto, inabissatosi nel bel mezzo dell’Atlantico novemila anni or sono. Non è mai esistito, e di sicuro non tra l’Africa settentrionale e i Caraibi. Ormai è opinione diffusa che la leggenda sia collegata a un terremoto catastrofico e alla conseguente inondazione causata da un’eruzione vulcanica avvenuta nell’isola di Thera, o Santorini, come si chiama oggi, che spazzò via la grande civiltà micenea sorta a Creta.

Quindi la descrizione di Atlantide fornita da Platone nel Crizia e nel Timeo è pura invenzione?

In realtà non si tratta di una “descrizione”. Platone scrisse la storia sotto forma di dialogo, un genere letterario popolare nell’antica Grecia, quindi la storia non è raccontata in terza persona dall’autore, bensì presentata al lettore da due o più narratori, uno dei quali interroga l’altro. Da questo punto di vista viene da credere che Platone abbia inventato Atlantide, ben sapendo che i posteri avrebbero abboccato all’amo, scrivendo un migliaio di libri sull’argomento e discutendone all’infinito.

E cosa dire delle predizioni del celebre sensitivo statunitense Edgar Cayce?

Cayce proclamava di aver visto l’ascesa e la scomparsa di Atlantide nei Caraibi. Ma se mai fosse esistita in quella regione una civiltà progredita, le centinaia di isole che vi sorgono ci avrebbero fornito qualche indizio; invece fino ad oggi, non è stato trovato neanche un coccio che risalga ad una cultura antica.

E i grandi blocchi di pietra che formano una strada sotto il mare al largo di Bimini?

Una formazione geologica che si trova in parecchie altre zone marittime.

E le colonne di pietra trovate sul fondale marino allargo della Jamaica?

E’ stato dimostrato che erano barili di cemento secco, solidificatosi nell’acqua dopo che il cargo che li trasportava è affondato e le doghe di legno si sono corrose. Forse dovremmo affrontare la realtà ed ammettere che Atlantide è un mito. O forse dovremmo pensare ad Atlantide non come una città immensa popolata da tanti Leonardo da Vinci e circondata da canali su un continente attorniato dalle acque, come l’ha descritto Platone, ma come una confederazione di piccole nazioni marinare che navigavano e tracciavano mappe del mondo intero, quattromila anni prima che gli egiziani costruissero le piramidi. Conquistarono i mari perché sapevano sfruttare le correnti e avevano accumulato un immenso patrimonio di conoscenze astronomiche e matematiche, tale di fare di loro dei provetti navigatori. Fondarono una catena di centri portuali sulla costa e costruirono un impero commerciale, scavando miniere e trasportando il minerale grezzo che lavoravano per ricavarne metalli, a differenza di altri popoli della stessa epoca, i quali vivevano a quote più elevate, praticando un’esistenza nomade, e così scamparono al disastro. I navigatori invece, ebbero la sfortuna di essere travolti e decimati dalle gigantesche ondate di marea, scomparendo senza lasciare tracce. E oggi, tutto ciò che resta dei loro porti si trova sott’acqua, sepolto sotto uno strato di limo alto centinaia di metri.

 

Curiosità n°2:

I “nativi” indiani sono stati i primi e soli colonizzatori dell’America o vi è stata una prima colonizzazione dell’America da parte di popoli europei? Nel 1960, gli archeologi scoprirono alcune ossa, certamente antiche, a Santa Rosa, una delle isole che sorgono nel canale al largo della costa californiana, accertando che appartenevano ad una donna. Dopo anni di oblio, una squadra di scienziati ha condotto su quei resti scheletrici sofisticate analisi del DNA e test al radiocarbonio, e i risultati hanno rivelato che le ossa risalivano a trentamila anni fa, vale a dire che quello era lo scheletro umano più antico mai ritrovato nell’America settentrionale. Ai suoi tempi, quella donna di certo vide ghiacciai vasti quanto l’intera Australia, mammut lanosi e tigri dai denti a sciabola, e poteva passare a piedi da un’isola all’altra, visto che il livello del mare era inferiore di quasi centodieci metri rispetto a quello attuale. La scoperta ha rimesso in discussione le teorie tradizionali, in base alle quali la prima popolazione che sia vissuta in America sarebbe giunta nel continente attraverso un ponte di terra che attraversava l’attuale Stretto di Bering, tra la Siberia e l’Alaska. L'”uomo delle caverne di Spirit”, come viene chiamato un altro reperto umano, visse oltre 9400 anni or sono nel Nevada occidentale, e ha un profilo cranico che fa pensare a origini giapponesi, o comunque dell’Estremo Oriente.

Invece il “mago della spiaggia”, il cui teschio è stato ritrovato anch’esso nel Nevada, presenta molti punti di contatto sia con i norvegesi che con i polinesiani. Altri teschi rinvenuti nel Nebraska e nel Minnesota, tutti risalenti ad almeno ottomila anni fa, somigliano tanto a esemplari europei quanto a quelli dell’Asia meridionale. Nuovi elementi suggeriscono che i primi popoli a stabilirsi nel territorio americano siano stati polinesiani e asiatici, che abitavano l’estremo lembo occidentale del Nordamerica e del Sudamerica, mentre la zona costiera orientale fu colonizzata da europei che arrivarono via mare, navigando lungo la fascia di pack che si era formata sull’Atlantico settentrionale durante l’era glaciale e seguendo gli uccelli migratori che volavano verso occidente. E’ noto del resto, che oltre quarantamila anni or sono esistevano già popoli in grado di spostarsi via mare dall’Asia meridionale all’Australia, quindi l’arte di navigare per mare non è certo un’invenzione delle civiltà mediterranee.

I mari attirarono fin dall’antichità i marinai, che esplorarono e scoprirono una porzione del mondo ben più vasta di quanto siamo stati disposti a riconoscere finora, e dei quali soltanto oggi si comincia ascrivere la storia.

 

Curiosità n°3:

La grande Piramide di Cheope riempie l’orizzonte. E’ una costruzione titanica, una gigantesca massa di pietra giallo-bruna che si innalza possente sfidando l’immaginazione.

Se facciamo scorrere lo sguardo lungo la facciata dell’edificio fino alla sommità, da lontano la piramide sembra digradare dolcemente, ma da vicino sembra quasi a picco. Fino al secolo scorso era d’uso comune scalare la piramide esternamente ma dagli anni ’80 è severamente vietato salire sulla piramide. Le autorità hanno preso questa decisione per salvaguardare i monumenti, le piramidi erano infatti oggetto di vandalismo (sono stati ritrovati innumerevoli graffiti e incisioni) e per proteggere l’incolumità dei visitatori più incoscienti o fisicamente limitati che potrebbero ferirsi o peggio ancora cadere fatalmente. Ma cosa proveremmo oggi se riuscissimo ad effettuare la scalata? Proviamo a simularlo. I blocchi di pietra sono enormi, alti circa un metro e a volte lunghi quasi due.

In molti punti fra un gradone e l’altro non ci sono più di trenta centimetri di spazio piano, che oltretutto è stato reso particolarmente liscio dal passaggio di innumerevoli turisti nel passato. La salita è dura e conviene muoversi con prudenza.

Man mano che ci si allontana sempre più da terra, i turisti e i cammelli appaiono minuscoli, puntini quasi indistinguibili. A circa metà della salita, si ha una visuale completa sul Cairo, sul deserto e sul Nilo, che si estendono davanti a noi. Le altre piramidi di Giza e la Sfinge invece, sembrano nascondersi dietro la Grande Piramide. Già da questa altezza la vista è magnifica, ma riprendendo a salire le cose si complicano. Il vento soffia forte nelle orecchie e getta sabbia negli occhi. Il percorso diviene ancora più ripido e madidi di sudore potremmo maledirci per esserci imbarcati in quell’impresa. Dobbiamo fare in modo di avere le mani sempre ben asciutte, in modo da tenerci sempre aggrappati alla roccia. Poi d’un tratto, ci ritroviamo in cima, e veniamo colti di sorpresa nello scorgere una piattaforma di una decina di metri quadrati.

Siamo in vetta alla piramide di Cheope, o Khufu, con le gambe che ci tremano per il sollievo e l’eccitazione, e fissiamo il panorama. Da quella posizione privilegiata possiamo ammirare il Cairo, che occupa la punta del verdeggiante delta del Nilo, le moschee e la cittadella. A sud ci sono le necropoli di Saqqara e Dashur, con le loro piramidi.

Girandoci, vediamo le due piccole piramidi di Giza, i luoghi di sepoltura di Chefren e Micerino.

Non possiamo non respirare un’atmosfera carica di mistero e di presagi.