Curiosità n°1:

Siamo sempre stati dell’idea che i pensieri abitano nel cervello, mentre le emozioni nascono dal cuore.

Anche per questa credenza i riti tribali della guerra prevedevano che si mangiasse il cuore del nemico morto, per farne proprio il coraggio ed il valore. D’altronde il cuore può essere considerato come il sismografo della vita stessa; l’interruzione del suo battito equivale alla fine di ogni cosa. Oggi però le neuroscienze concordano nel riconoscere che il muscolo cardiaco è molto più intelligente di quanto non si possa pensare, essendo composto per oltre due terzi da cellule neuronali, il che è come dire che anche il cuore in qualche modo pensa e reagisce agli stimoli esterni. Ma allora viene da chiedersi: da dove proviene il seme dell’odio?

Molto probabilmente non dal cuore, ma dalla mente, le cui pretese di superiorità generano i conflitti più dilanianti, e attraverso la quale siamo capaci di generare infamia, vendetta e ogni tipo di bassezza morale.

Curiosità n°2:

Esiste un vecchio adagio che così recita: “Bisogna lavorare per vivere e non vivere per lavorare”. Alcune persone però sembrano non conoscerlo e in nome del lavoro sono disposti a spingersi ai limiti del pensabile pur di collezionare tappe in una sorta di scalata dell’efficienza e della produttività, anche perché la competizione per ottenere lo stipendio e il prestigio più alto sembra sia diventata furente. Nel 2013 un giovane dipendente della televisione giapponese, novello Stachanov in kimono, morì per un arresto cardiaco dopo aver puntato al record di duecento ore di straordinario in un mese. Il mondo in cui il lavoro serviva a darti da vivere sembra essere scomparso. La fatica di coltivare la terra o di mettere a frutto un talento artigianale un tempo nasceva solo dal bisogno di trarne sostentamento; il mestiere generava reddito, e il reddito si traduceva in cibo (tant’è vero che anticamente lo stipendio veniva detto appannaggio, che significa proprio procurarsi il pane). Oggi invece l’unico obiettivo di ogni prestazione, perfino più importante della vita stessa del lavoratore, è il denaro. Facciamo subito degli esempi pratici. In Indonesia migliaia di persone assiepate sul cratere incandescente di un vulcano, logorano i propri anni in un vero inferno di esalazioni tossiche per estrarre lastre di zolfo da una specie di stagno sulfureo.

La maggior parte di loro non sopravvive più di dieci anni, bruciandosi prima la vista e poi i polmoni, in cambio di una paga lorda che si aggira sui sette dollari per turno.

Ancora di meno si mettono in tasca i netturbini dell’hig-tech illegale, quello che riversa ogni anno migliaia di tonnellate di rifiuti informatici nella discarica di Guiyu, in Cina, dove fra batterie esauste, liquami, microchip mezzi marci e metalli arrugginiti, un’umanità di donne e bambini si accanisce a separare il litio dal rame, immagazzinando nel proprio sangue percentuali di piombo cancerogeno cinque volte più alte del normale.

Un tantino migliori sono invece i guadagni dei pescatori di granchi nello Stretto di Bering, fra Alaska e Siberia, con dei contratti che prevedono degli indennizzi in caso di morte o di invalidità permanente, eventualità che viene data quasi per scontata trattandosi di una zona marina proibitiva, con flutti alti venti metri e temperature talmente basse da far gelare all’istante la schiuma delle onde (circa nove pescatori su dieci vanno incontro a incidenti letali).

Ma cosa volete che sia! E’ il prezzo del consumismo e pur di trovare chele di granchio del Pacifico sullo scaffale del supermercato, siamo disposti ad accettare che qualcuno rischi la vita. La spietata legge dell’interesse, ha fatto si addirittura che la vita umana divenisse oggetto di transazione commerciale; sempre dalla laboriosa Cina, fra le classi meno abbienti, si è diffuso il cosiddetto ding zui, ossia il meccanismo per cui i più ricchi assumono qualcuno che vada in carcere al loro posto. Numerosi padri di famiglia accettano così di rinunciare alla propria libertà, vendendo porzioni della propria esistenza per scontare la pena di un altro.

Nei casi più estremi si arriva addirittura ad immolare la vita, facendosi giustiziare pur di assicurare alla famiglia un congruo compenso, a sua volta moltiplicato se all’esecuzione segue la vendita degli organi sul mercato clandestino. E non crediate che le agiate economie occidentali siano prive di comportamenti simili. Sono in crescita infatti, coloro che si candidano a fare da cavia umana per farmaci e preparati chimici per qualche centinaio di euro a seduta. Nel terzo millennio dunque, non si lavora più per vivere, ma si lavora per morire.

 

Foto miniera di Kawah Ljen di Sémhur  sotto licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

Foto miniera di Kawah Ljen di Candra Firmansyah  sotto licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International