Qualche anno fa lo stato di Vanuatu, un atollo dell’Oceano Pacifico, rischiò di sparire e gli ottomila abitanti di quelle isole rischiarono di essere evacuati a causa dell’innalzamento degli oceani provocato dal surriscaldamento terrestre.
La questione ambientalista in realtà, anche se in maniera diversa, è già stata affrontata in precedenti post (Cambiamento climatico e Pensiero ecologista), ma vi sono così tanti punti di vista divergenti che a volte diviene complicato assumere una posizione di fronte a tale questione. E’ troppo poco ciò che conosciamo dei vari aspetti dell’ambiente, dalla sua storia passata al suo stato presente, per sapere come conservarlo e proteggerlo; in ogni dibattito la nostra conoscenza acquisita e il suo livello di certezza vengono sopraffatti su tutti i fronti. Il livello di anidride carbonica nell’atmosfera sta aumentando, e l’attività umana ne è la causa più probabile. Ci troviamo anche nel mezzo di una tendenza naturale verso l’aumento della temperatura che ha avuto inizio nel 1850, quando siamo usciti dal freddo incantesimo durato quattrocento anni e noto col nome di “Piccola Era Glaciale“.
Ma in realtà nessuno sa in quale misura l’attuale tendenza verso l’aumento della temperatura sia un fenomeno naturale. Nessuno sa in quale misura l’attuale tendenza verso l’aumento della temperatura sia opera dell’uomo. Nessuno sa di quanto la temperatura aumenterà nel prossimo secolo; i modelli computerizzati variano, prova incontrovertibile del fatto che nessuno ne ha idea. D’altro canto prevedere il futuro rimane ancora un eufemismo; possiamo solo ipotizzare, e un ipotesi per quanto assennata resta un ipotesi. Sicuramente in ultima analisi, parte del surriscaldamento osservato sulla superficie terrestre sarà attribuibile all’attività umana, e probabilmente la causa principale verrà individuata nello sfruttamento del territorio, mentre la componente atmosferica avrà un peso minore. Prima di attuare costose politiche ambientali sulla base di modelli climatici computerizzati quindi, sarebbe ragionevole richiedere a quei modelli un potere previsionale circa le temperature future di almeno vent’anni. Credere inoltre nell’imminente scarsità delle risorse, dopo duecento anni di falsi allarmi, è piuttosto irragionevole. Non so se una tale credenza debba essere attribuita più a un’ignoranza della storia, a un dogmatismo sclerotico, a una malsana passione per Malthus, o a semplice idiozia, ma è chiaramente un fattore costante nel calcolo umano. Ci sono molte ragioni per abbandonare i combustibili fossili, e probabilmente lo faremo nel prossimo secolo senza una legislazione, incentivi finanziari, programmi per la conservazione del carbone, o l’interminabile chiacchiericcio dei venditori di paura. Per quanto ne so, all’inizio del Ventesimo secolo nessuno dovette bandire il trasporto a cavallo. Credo che in un prossimo futuro la popolazione globale sarà minore, sarà molto più ricca di noi, consumerà una maggiore quantità di energia, e si godrà la natura più di quanto non facciamo noi ora. Non credo che dovremmo preoccuparci per loro. Nella migliore delle ipotesi, l’attuale preoccupazione quasi isterica riguardo alla sicurezza è uno spreco di risorse e un fardello per lo spirito umano, e nella peggiore delle ipotesi un invito al totalitarismo. C’è un disperato bisogno di una maggiore consapevolezza pubblica. La maggior parte dei “principi” ambientalisti (come ad esempio lo sviluppo sostenibile) hanno l’effetto di preservare i vantaggi economici dell’Occidente e favorire il moderno imperialismo nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. E’ una bella scusa dire: “Noi abbiamo ciò che ci spetta e non vogliamo che voi abbiate ciò che vi spetta, perché produrreste troppo inquinamento”. E’ un tantino contraddittorio, non vi sembra? Credo che la gente sia benintenzionata, ma bisogna tenere in considerazione anche l’influenza corrosiva del condizionamento, della distorsione sistematica del pensiero, delle maschere dell’interesse personale, e dell’inevitabilità delle conseguenze non intenzionali. Ho più rispetto per le persone che cambiano il loro punto di vista dopo aver acquisito nuove informazioni che per quelle che restano aggrappate alle convinzioni che si portano dietro da anni. Il mondo cambia, gli ideologi ed i fanatici no. Fin dalla nascita del movimento ambientalista, la scienza è andata incontro ad una grande rivoluzione, che ha portato ad una nuova comprensione delle dinamiche ambientali. Ha trasformato il nostro modo di pensare l’evoluzione e l’ecologia, eppure quelle idee ormai non più così nuove hanno a malapena scalfito le convinzioni degli attivisti ambientalisti, che sembrano rimanere stupidamente attaccati ai concetti e alla retorica del passato. Non abbiamo la benché minima idea di come sia possibile preservare quella che chiamiamo “natura incontaminata”, e dovremmo fare studi sul campo e imparare a portarli avanti al meglio. Ma non mi sembra che si stiano conducendo ricerche di questo tipo in modo razionale e sistematico, perciò nutro poca speranza che in futuro si riesca a dar forma a un’amministrazione della natura. Le organizzazioni ambientaliste sono da biasimare tanto quanto le società immobiliari o quelli che scavano miniere a cielo aperto. L’avidità e l’incompetenza generano gli stessi risultati. Abbiamo bisogno di un nuovo movimento ambientalista, con nuovi scopi e una nuova organizzazione. Abbiamo bisogno di più persone sul campo, nell’ambiente vero e proprio, e meno dietro agli schermi dei computer. Ci servono più scienziati e meno avvocati. Non possiamo sperare di gestire un sistema complesso come l’ambiente attraverso le cause legali. E poiché l’ambiente è condiviso, non può essere gestito da una sola fazione, secondo le sue preferenze economiche o estetiche. Prima o poi, la fazione avversa prenderà il potere, e le politiche precedenti verranno capovolte. Una stabile amministrazione dell’ambiente deve avere la consapevolezza che occorre rispettare le esigenze di tutti: dei produttori di gatti delle nevi e dei pescatori, dei motociclisti e degli escursionisti, degli agenti immobiliari e dei difensori dell’ambiente. Queste esigenze sono in contrasto tra di loro, e la loro incompatibilità non può essere evitata, ma risolvere questioni incompatibili è la vera funzione della politica. Abbiamo un disperato bisogno di un meccanismo di raccolta fondi neutrale ed anonimo per condurre ricerche al fine di determinare una politica appropriata. Gli scienziati sono fin troppo consapevoli di coloro per i quali stanno lavorando. Chi finanzia la ricerca (che sia un’industria farmaceutica, un’agenzia governativa, o un’organizzazione ambientalista) ha sempre in mente un risultato preciso. I finanziamenti della ricerca sono sempre a scadenza e condizionati. Gli scienziati sanno che la continuità dei finanziamenti dipende dal raggiungimento dei risultati che auspicano i finanziatori. Come risultato, gli “studi” delle organizzazioni ambientaliste sono condizionati e sospetti quanto gli “studi” dell’industria. Analogamente, gli “studi” condotti dal governo sono condizionati a seconda che a capo del dipartimento o dell’amministrazione ci sia una persona piuttosto che un’altra. Nessuna fazione dovrebbe avere campo libero. Personalmente provo un profondo piacere nel trovarmi in mezzo alla natura. I giorni più felici di ogni anno sono quelli che trascorro nella natura incontaminata.
Mi auguro quindi che l’ambiente naturale venga preservato per le generazioni future, ma temo però, che non verrà preservato in quantità sufficiente, e con sufficienti competenze. Questo perché tra gli “sfruttatori dell’ambiente” ci sono le organizzazioni ambientaliste, le organizzazioni governative e l’industria. Tutti questi signori hanno alle loro spalle una storia ugualmente fosca, perché tutti hanno un ordine del giorno da rispettare. Tranne me.
Foto atollo Vanuatu di Phillip Capper sotto licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic