Come tutti gli studenti del mondo, sicuramente vi sarete imbattuti più di una volta nella figura di vari matematici, ma ogni volta il vostro professore vi avrà parlato dei loro teoremi, non degli uomini; d’altra parte, durante le lezioni di matematica non si parla mai di esseri umani. Di tanto in tanto si sente echeggiare un nome: Pitagora, Cartesio, Pascal, ma resta soltanto un nome per l’appunto, come quello della stazione del metrò. Non si parla neppure di dove o quando un certo episodio sia avvenuto: le formule, le dimostrazioni, i teoremi finiscono sulla lavagna come se nessuno li avesse creati, come se esistessero da sempre, alla stessa stregua delle montagne o dei fiumi. Proviamo noi a ragionare in modo diverso quindi, e a scoprire la persona che si cela dietro un teorema matematico, partendo da Talete.

VII secolo avanti Cristo, costa dell’Anatolia. Mentre a Sardi, capitale dell’impero di Lidia, regna il figlio del re Gige, a due passi da lì, nella Ionia, non esistono re: Mileto è una delle prime città-stato, una città libera.

Ed è qui che nasce Talete, intorno all’anno 620. Talete fu uno dei “sette sapienti” della Grecia antica, e il primo ad enunciare risultati generali che riguardano gli oggetti matematici. Talete non si occupò molto di numeri; era interessato soprattutto alle figure geometriche, come cerchi, linee, rette, triangoli. Fu lui il primo a considerare l’angolo come un’entità geometrica a sé stante, facendone la quarta grandezza della geometria, a fianco del terzetto già noto, che comprendeva lunghezza, superficie e volume. Talete affermò che le coppie di angoli opposti al vertice formati da due rette che s’intersecano sono uguali.

Talete ha dimostrato inoltre che a ciascun triangolo si può far corrispondere un cerchio passante per i tre vertici del triangolo stesso, ovvero il “cerchio circoscritto”. Questo equivale a dire che per tre punti non allineati (perché se i tre punti fossero allineati non vi passerebbe un cerchio, bensì una retta) passa sempre un cerchio, e uno solo. Quindi tre punti non allineati definiscono non solo un triangolo, ma anche un cerchio.

Talete ha dimostrato anche che gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono uguali, stabilendo così l’esistenza di un legame forte tra la lunghezza e gli angoli: a due lati uguali, corrispondono due angoli uguali.

Parlando dei bisonti, gli indiani d’America dicevano “due corna”; parlando delle moto oggi diciamo due ruote. E così per una figura con tre angoli, si dice “tri-angolo”. E isoscele? Il prefisso iso vuol dire “uguale” e skelos significa “gamba”, dunque un triangolo isoscele è un triangolo che ha due gambe uguali. I triangoli che invece hanno tre lati disuguali, sono etichettati come triangoli “scaleni”, cioè “zoppicanti”. Fino a questo momento abbiamo esposto i rapporti accertati da Talete tra cerchi e triangoli, e tra angoli e lati, ma adesso proviamo ad affrontare quelli che uniscono rette e cerchi. Che cosa può accadere a una retta e a un cerchio? O la retta interseca il cerchio, oppure no. Se lo interseca però, deve dividerlo per forza in due parti. In che posizione deve trovarsi la retta perché le due parti siano uguali? Talete ci ha fornito la risposta: perché la retta divida il cerchio in due parti uguali, deve passare necessariamente per il centro. E’ un diametro, ossia il segmento più lungo che il cerchio possa accogliere in sé, e lo attraversa per tutta la sua lunghezza. Ecco perché si può dire che il diametro è “misura” del cerchio.

La soluzione di Talete non si applica ad un cerchio in particolare, bensì a qualsiasi cerchio. Non fa il minimo cenno a un risultato numerico stabilito in base ad un singolo oggetto, come facevano prima di lui gli egizi o i babilonesi. La sua ambizione consiste nell’accertare verità che riguardano un’intera classe di oggetti. Una classe infinita. Esiste un famoso aneddoto su Talete: “un giorno avanzava in mezzo ai campi, scrutando il cielo per decifrare i segreti del corso degli astri, mentre un’ancella camminava al suo fianco. La giovane ancella che lo accompagnava scorse una grande buca al centro del campo e la evitò. Talete invece, continuando a contemplare il cielo, vi cadde dentro. ‘Come, non riesci a vedere quello che hai davanti ai piedi e pretendi di conoscere quello che accade in cielo?’ lo derise lei, aiutandolo ad uscire dalla buca”. Questo per sottolineare che tutto può cominciare con una caduta. Talete è stato il primo “pensatore” della storia. Non nel senso che nessuno prima di lui avesse mai pensato. Si pensava da tempo. Prima di lui c’erano stati magi, scribi, sacerdoti, contabili, cantastorie, che recitavano preghiere, facevano calcoli, raccontavano leggende. Talete però ha fatto qualcosa di diverso: si è posto delle domande. Per esempio: che cosa significa pensare? Oppure: quale rapporto c’è tra quello che penso e quello che esiste? O ancora: esistono cose che sfuggono al mio pensiero? Di che cosa è fatta la natura? Domande come queste, anche se la cosa può stupirci, non se le era poste ancora nessuno. Talete era un matematico, ma questa è filosofia. Va ricordato però, che ai tempi di Talete, nel VI secolo avanti Cristo, filosofia e matematica erano ancora strettamente intrecciate. D’altronde, queste parole non esistevano ancora; sono state inventate in seguito, e più tardi ancora si sono separate. Pensate che si deve a Talete anche il celebre motto: “Conosci te stesso”.

Ad un certo punto della sua vita, Talete si allontanò da Mileto, dov’era vissuto fino a quel momento, per dirigersi in Egitto, dove risalì il Nilo su una feluca.

Dopo qualche giorno di navigazione, interrotta da numerose soste nelle varie città che sorgevano in riva al fiume, finalmente la scorse: al centro di un vasto altopiano, non lontano dalla riva, sorgeva la piramide di Cheope.

Talete non aveva mai visto una costruzione così imponente. Sullo stesso altopiano si trovavano altre due piramidi, quelle di Chefren e di Micerino; eppure a confronto con l’altra apparivano piccole. Per tutta la durata del viaggio lungo il Nilo, gli altri viaggiatori gli avevano ripetuto che le dimensioni del monumento erano superiori ad ogni immaginazione, e quando la vide da vicino una volta sbarcato dalla feluca ne rimase affascinato. A quel punto un fellah si avvicinò al suo fianco chiedendogli: “Lo sai, straniero, quanti morti è costata questa piramide che tu sembri ammirare? Centinaia di migliaia. E perché tanti morti? Per scavare un canale? Arrestare una piena? Gettare un ponte? Costruire una strada? Innalzare un palazzo? Erigere un tempio in onore degli dei? Nient’affatto. Questa piramide è stata eretta dal faraone Cheope con l’unico scopo d’indurre gli esseri umani ad ammettere la loro meschinità. La costruzione doveva eccedere ogni norma per sopraffarci meglio: più fosse risultata gigantesca, più infimi saremmo apparsi noi. E lo scopo è stato raggiunto”. Da quel momento, quel monumento volutamente smisurato, rappresentò una sfida per Talete. Da duemila anni, quell’edificio, pur essendo costruito dalla mano dell’uomo, sfuggiva alla portata della sua conoscenza. Quale che fosse stato l’intento del faraone, restava indiscusso il fatto che risultava impossibile misurare l’altezza della piramide. Era la costruzione più visibile del mondo abitato, e insieme la sola che non si potesse misurare. E Talete raccolse la sfida. Osservando la propria ombra che si rimpiccioliva man mano che il sole s’innalzava nel cielo, rifletté che, per quanto un oggetto sia piccolo, esiste sempre un sistema d’illuminazione che lo fa apparire grande. Aveva trovato quindi il suo alleato: il sole. Trattando allo stesso modo sia l’uomo minuscolo che la piramide gigantesca, il sole stabiliva la possibilità di una misura comune. Il rapporto tra lui e la sua ombra è uguale a quello tra la piramide e la sua. Se ne può dedurre quindi che, nell’attimo in cui la sua ombra sarà uguale alla sua statura, l’ombra della piramide sarà uguale alla sua altezza. Talete non poteva misurare l’altezza della piramide che si perdeva nel cielo, ma poteva misurare la sua ombra schiacciata al suolo. Misurare il “grande” per mezzo del “piccolo”; misurare l'”inaccessibile” grazie all'”accessibile”; misurare il “lontano” grazie al “vicino”. Bastava calcolare la lunghezza dell’ombra della piramide per conoscere l’altezza della stessa. Sostanzialmente nasce così il teorema di Talete o teorema delle proporzioni (“Un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali genera coppie di segmenti direttamente proporzionali”).

Un teorema che per quanto possa sembrare insignificante, si applica a tutti i problemi che mettono in gioco i rapporti: i cambiamenti di scala, i modellini in miniatura, le mappe, le carte geografiche, le riduzioni, gli ingrandimenti, ecc. Ma come ha fatto in concreto Talete a misurare la piramide? Talete sostanzialmente aveva a disposizione soltanto una corda e gli mancava persino l’unità di misura, così utilizzò il talete, vale a dire la sua statura. Servendosi della corda, di cui aveva regolato la lunghezza in base alla propria statura, misurò l’ombra, accertando che era lunga 18 talete; poi misurò il lato della base, dividendolo per due e scoprendo che era lungo 67 talete.

Addizionò le due misure e risultò che la piramide di Cheope misurava 85 talete. Ora, in base all’unità di misura locale, il talete equivaleva a 3,25 cubiti egiziani, il che fa 276,25 cubiti in totale. Quindi oggi sappiamo che l’altezza della piramide di Cheope è di 280 cubiti, vale a dire 147 metri.

 

Se vi piacciono i nostri post e volete continuare a seguirci rimanendo aggiornati su tutti i nostri curiosi argomenti, iscrivetevi alla newsletter.