Tutti abbiamo sentito parlare della Stele di Rosetta; l’antica lastra di granito che con le sue tre differenti grafie (geroglifico, demotico e greco antico) ci ha permesso di comprendere i geroglifici.
Ma se vi domandassi che cos’è la Stele di Paser, sapreste rispondermi?
La Stele di Paser è un reperto gravemente danneggiato; come molte stele, originariamente aveva la forma della lapide classica, ma la sezione superiore a semicerchio è andata in larga misura perduta, così come parte del bordo e tutto il quarto inferiore.
Un’ampia fenditura la attraversa in diagonale, in pratica dividendola in due.
Tutto il suo mistero è racchiuso nella prima riga di testo in orizzontale che contiene però anche alcune indicazioni su come leggere la stele:
“Quanto alla presente iscrizione, essa deve essere letta tre volte. Nulla di simile si è mai visto prima d’ora, né mai se ne è sentito dire fin dai tempi della divinità. E’ innalzata nel tempio di Mut, Signora di Isheru, eterna come il sole, per sempre.”
Qualcuno ha ipotizzato che il “terzo modo” consista nel leggere i margini esterni, ma il reperto è troppo danneggiato per poter verificare questa possibilità.
La stele può essere letta sia orizzontalmente sia verticalmente, grazie allo speciale gioco di parole utilizzato dagli scribi egizi, i quali si servivano di strumenti stilistici come la grafia sillabica (sequenze combinatorie di consonanti e vocali implicite), le legature (segni grafici uniti tra loro a creare nuovo significato), e i geroglifici figurativi, elaborati per suggerire una nuova interpretazione metaforica dei simboli.
Poiché l’effetto complessivo di tutti questi elementi è quello di un “codice”, essi vengono spesso definiti con il termine di crittografia.
Nonostante le lingue egizie siano ormai perfettamente traducibili, l’enigma delle iscrizioni presenti sulla Stele di Paser rimane irrisolto.
Quei simboli disposti lungo una sorta di griglia, che si possono leggere sia orizzontalmente sia verticalmente ottenendo varianti del medesimo inno, e quel misterioso “terzo modo” a cui alludono le istruzioni per la lettura e di cui ancora non si è scoperto nulla, rimangono in una delle numerose sale, stipate fino al soffitto di statue e vasi, dei magazzini sotterranei del British Museum.
Possiamo però azzardare un’ ipotesi.
Il concetto di “terza terra” si presenta ripetutamente negli antichi scritti egizi, perlopiù con il significato di un’agognata meta da raggiungere.
L’immagine ha a che fare con la concezione egizia delle “due terre”, cioè i due regni separati della valle superiore e inferiore del Nilo; praticamente ogni re aspirava a riunirli, creando così la “terza terra”.
Essa diventa quindi la metafora di una sorta di terra promessa, il luogo in cui i due unici sistemi di vita conosciuti si integrano a formare un terzo e perfetto sistema.
In un modo molto simile, anche noi desideriamo a volte poter ricongiungere tra loro aspetti diversi e distinti della nostra esistenza, quella trascorsa e quella presente.
Questo antico concetto egizio riprende i più basilari dualismi stabiliti dalla filosofia occidentale (positivo e negativo, verità e menzogna, bene e male), e si sforza di ricondurli all’unità organica della concezione orientale (come lo yin e lo yang), in una tensione costante verso l’Uno, verso la completezza.
Il terzo modo potrebbe quindi rappresentare la via di mezzo, la soluzione perfetta, il sogno di una riconciliazione fra tutto ciò che è opposto in questo mondo e in noi stessi.
P.S.
La stele che vedete in calce ha un puro scopo esemplificativo…ma non è la stele di Paser.
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