Chi vi scrive vive in un piccolo paese marittimo, che ha la fortuna di non conoscere il caos cittadino o il traffico snervante dell’ora di punta.

E’ uno di quei paesi che con l’avvento della bella stagione esce dal letargo invernale e comincia ad animarsi, richiamato dal cielo terso, dal calore del sole e dal mare spesso così calmo che si confonde con l’orizzonte.

Ma è anche uno di quei luoghi d’Italia che con l’avvento della pandemia si è immobilizzato, cristallizzato, con pochi negozi d’alimentari aperti e niente più.

Chi vi scrive ha anche la fortuna di abitare in una posizione sopraelevata rispetto al resto del paese; cosa che mi permette di osservarlo da una posizione dominante, come se fossi in un vecchio castello che offre un punto di vista privilegiato.

Ieri sera, per puro caso, mi è capitato di guardare fuori dalla finestra al tramonto, mentre il sole andava via via sparendo dietro quella lingua di terra che si protende verso il mare, accendendo il cielo di un rosso tendente all’arancione, come una tela naturale sulla quale un pittore stende diverse tonalità pastello prese dalla sua tavolozza.

Di solito basta questo a colpirmi.

Ma stavolta c’era dell’altro.

Le strade erano completamente vuote, in un’ora in cui di solito sono più animate perché la gente rincasa dal lavoro.

C’era un’immobilità inquietante e un silenzio irreale e assordante.

Sembrava uno di quei paesi che improvvisamente, per qualche ragione, viene abbandonato e lasciato a se stesso.

E solo un’idea frullava continuamente per la testa.

Il mondo è fuori fase.

E’ tutto come prima.

Ma è tutto diverso.