Nel terzo millennio, il nuovo grande passo in avanti della ricerca scientifica e della produzione industriale si riassume in una parola: nanotecnologie.
Con questo termine si indica la possibilità di manipolare la materia a livello atomico, con la possibilità così di costruire dispositivi di dimensioni estremamente ridotte, nell’ordine di un centinaio di nanometri, ossia di cento miliardesimi di metro.

Tali dispositivi sarebbero mille volte più piccoli del diametro di un capello umano.
Il concetto di nanotecnologia risale a una conferenza tenuta da Richard Feynman nel 1959 intitolata “C’è un sacco di spazio laggiù in fondo” , quindi stiamo parlando di una disciplina piuttosto recente e per molti versi gravida di conseguenze.
L’industria delle nanotecnologie è in crescita esponenziale; si calcola che soltanto quest’anno negli Stati Uniti si venderanno più di settanta miliardi di dollari di prodotti nanotecnologici.
Le nanotecnologie si trovano ovunque: dentifrici, creme solari, glasse per torte, ciucci per bambini, indumenti sportivi, cosmetici, farmaci, e persino nei bob olimpici.
Oggi più di diecimila prodotti contengono nanoparticelle.
Qual’è lo svantaggio di un’industria in così grande espansione?
Le nanoparticelle possono provocare malattie, e persino la morte.

Gli scienziati dell’Università della California hanno scoperto che l’ossido di nanotitanio (che si trova nelle creme solari per bambini e in molti altri prodotti) può causare, negli animali, danni a livello genetico.

E’ stato dimostrato che i nanotubi di carbonio (presenti in migliaia di prodotti che usiamo quotidianamente, tra cui alcuni caschi protettivi per bambini) si accumulano nei polmoni e nel cervello dei ratti.
A livello microscopico, accadono cose strane e inaspettate.
Prendete un foglio di alluminio. Si tratta di un oggetto piuttosto innocuo e comodo per incartare gli avanzi alimentari, ma scomponetelo in nanoparticelle e diverrà pericolosissimo.
Si tratta di una frontiera nuova e inesplorata.

Tutt’oggi non c’è quasi nessun obbligo di etichettatura per i prodotti nanotecnologici, nè sono richiesti studi di sicurezza per quelli contenenti nanoparticelle.
Possiamo tranquillamente affermare che quest’industria ha un lato oscuro.
Siamo e siamo sempre stati convinti di sapere quel che facciamo.

E a quanto pare, non siamo capaci di riconoscere di aver sbagliato né di poter nuovamente sbagliare.

Piuttosto ogni generazione attribuisce gli errori del passato a una carenza di pensiero imputabile a menti meno capaci, e con fiducia si imbarca in nuove imprese sbagliate.
Siamo una delle tre sole specie terrestri che possono considerarsi autocoscienti (le altre sono rappresentate dagli scimpanzé e gli orangutan), ma nel caso degli umani una caratteristica ben più significativa potrebbe essere la capacità di illudersi.
A un certo punto, la nostra sconsiderata tendenza all’illusione finirà per scontrarsi con il nostro crescente potere tecnologico.

Uno dei campi in cui si verificherà la collisione è situato all’incrocio tra nanotecnologie, biotecnologie e tecnologie informatiche.
L’aspetto comune a queste tre discipline è la capacità di diffondere nell’ambiente entità in grado di autoreplicarsi.

E già da alcuni anni conviviamo con il primo esempio di queste entità autoreplicanti: i virus informatici.
E se tutti questi “organismi artificiali”, anche se progettati da esseri umani, riusciranno a riprodursi e ad evolversi assumendo una forma diversa da quella originaria divenendo organismi viventi a tutti gli effetti, qualunque sia la definizione che si attribuisce a questo termine?
Questi organismi potrebbero evolversi secondo modalità completamente nuove, a un ritmo rapidissimo e con un impatto sull’umanità enorme.
Forse dovremmo sin da ora adottare misure adeguate per fronteggiare l’emergere di tutte queste nuove tecnologie per non correre il rischio di non riuscire a gestirle adeguatamente a causa dell’impreparazione della nostra società.

 

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