Chi di voi (soprattutto in questo particolare periodo) non si è mai sentito perso? Quanti di voi si sono trovati a cercare qualcosa che si riteneva perso? E non ci stiamo riferendo ad oggetti materiali, ma a qualcosa di più profondo come sentimenti, valori, ecc. E quanti di voi alla fine hanno scoperto che in realtà non avevano perso proprio niente, perché in fondo ognuno di noi è completo in se stesso? Questa è una grande verità su cui dovremmo riflettere e che dovremmo assimilare fino a farla davvero nostra. Ogni giorno ci svegliamo per lottare, chiedendoci quanto di più possiamo acquistare, quanto di più possiamo usare, quanto più spazio possiamo prendere nel mondo, quando invece la domanda che davvero dovremmo porci è: quanto di meno possiamo usare?, quanto meno spazio possiamo occupare? Non dovrebbe esserci nessuna lotta, perché non dovrebbero esserci distinzioni. Già il solo dire che tu hai torto e io ho ragione significa dividerci, perché la ragione e il torto sono concetti esclusori, concepiti per promuovere l’illusione della separazione. Non dovrebbe esistere il concetto vincolante di disunità, ma dovremmo tornare ad essere un tutt’uno come lo eravamo nei tempi passati.
La figura dell’uomo vuoto che abbiamo scelto nel titolo del post, ci invita a scoprire il vero volto del mondo. Perché l’uomo vuoto vuole essere sostanzialmente una meditazione, un punto focale per la manifestazione mirata di energie nascoste.
Secondo la filosofia i nostri pensieri nutrono e sono nutriti dalla noosfera, una specie di “coscienza collettiva” degli esseri umani che scaturisce dall’interazione fra le menti umane, la somma di tutto il potere cosciente, la cui trasmissione si può stimolare attraverso l’applicazione di certi vettori in modo simile a un virus.
Oggigiorno ciascuno di noi è cieco a proprio modo. Le distrazioni ci privano della concentrazione, la tecnologia ci priva della memoria, la ripetizione ci priva della comprensione. E’ un pò come quel gioco che si faceva da bambini: se ripeti il tuo nome molte volte diventa un borbottio. Questo semplice gioco vale anche per interi concetti, perfino per interi corpi di pensiero. Ad esempio, prendiamo la vecchia massima di Nietzsche:
“Se scruterai in un abisso, anch’esso scruterà dentro di te”.
Questa massima è stata privata di significato attraverso la ripetizione. E’ ormai una calamita per frigoriferi, un cliché, è inoffensiva. Ma provate a riflettere davvero su questa cosa. Che cos’è un abisso? Perché scrutiamo dentro di esso? Che cos’è che ci chiama? E se l’abisso scruta dentro di noi, è logico pensare che qualcosa in noi debba chiamare l’abisso! E questo, amici miei, è tutto fuorché inoffensivo, se ci riflettiamo davvero. Quindi la domanda a questo punto diventa: se una cosa può essere privata del suo senso profondo con un atto semplice come la ripetizione, quale dei due è più fondamentale? Quale è più vero? Il nostro nome o il borbottio? Questo è l’uomo vuoto.