Leonardo da Vinci è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi geni dell’umanità, uno dei personaggi più enigmatici della storia, oltre che uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, e vi sono diversi aneddoti che testimoniano il suo talento già da ragazzo.

Quello che state per leggere di seguito è la dimostrazione di quanto appena scritto sopra, e forse è anche uno degli aneddoti meno conosciuti.

Un giorno un contadino alle dipendenze del padre di Leonardo, Ser Piero da Vinci, consegna a quest’ultimo una rotella grezza e non dipinta (un tondo di legno che spesso finiva a decorare le pareti delle case) supplicandolo di restituirgliela dipinta.

Ser Piero decide allora di chiedere al figlio di decorarla con un’immagine a sua scelta.

Il giovane Leonardo sistema e raddrizza quel rozzo pezzo d’albero di fico ed escogita una soluzione piuttosto bizzarra: inventa un volto mostruoso, animato dall’effetto di una testa di Medusa.

Leonardo si chiude in camera sua con la rotella e raccoglie lucertole, ramarri, grilli, serpi, farfalle, locuste, nottole e altri simili animali e con un colpo di genio li ritrae insieme.

E’ talmente concentrato nella realizzazione dell’opera che trascura persino il fetore prodotto da tutti quegli animali morti nel chiuso della sua stanza.

Dopo alcuni giorni, terminato il lavoro, sistema la rotella su un leggio, la dispone contro la luce abbagliante di una finestra e invita il padre ad entrare nella camera.

Ser Piero colpito dall’effetto di quell’immagine, e tramortito dal puzzo che si respirava là dentro, portò subito via il legno, ma si guardò bene dal restituirlo al contadino: aveva capito di avere tra le mani qualcosa che sul mercato poteva valergli un certo guadagno.

All’ignaro fattore donerà un banale cuore trafitto, comprato da un merciaio, mentre dalla vendita di quella figura mostruosa otterrà cento ducati, una bella somma per un semplice pezzo di legno dipinto da un giovane sconosciuto.

Ser Piero non era certo un amorevole padre, ma non si può negare che avesse un gran senso degli affari.

Col tempo Leonardo darà alla luce straordinari capolavori, sia scultorei che pittorici, e un’infinità di invenzioni e progetti in ogni branca della scienza, ma qui vogliamo concentrarci su una delle sue opere più conosciute: il Cenacolo, o Ultima cena.

Nel 1495 Leonardo viene incaricato di realizzare un’opera così imponente da far tremare anche il pittore più esperto: la decorazione di una parete enorme nel refettorio del Convento Domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano.

Leonardo accetta l’incarico correndo però un rischio davvero alto perché in realtà non ha mai dipinto su un muro, fino a quel momento non aveva mai realizzato un affresco.

Così il Cenacolo è un capolavoro che nasce senza un diario di bordo, senza un progetto definito, senza un programma.

D’altronde non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da Leonardo che non è mai stato un pittore metodico e assennato.

Il lavoro sulla parete del refettorio procede alla giornata; Leonardo passa dei momenti di impegno furioso, in cui si concentra tanto da scordarsi anche di mangiare, a lunghi periodi in cui non si fa vivo, perché magari è alle prese con altri folli esperimenti che assorbono la sua attenzione.

Ma c’è una ragione precisa che permette all’artista di lavorare su questo muro senza un calendario preciso.

La sua Ultima cena non è un affresco. Leonardo, che adora sperimentare soluzioni sempre nuove, sa che quella tecnica non fa per lui. Per dipingere “a fresco”, il lavoro va programmato con molta precisione.

Una volta realizzato il disegno a grandezza naturale su un cartone, bisogna decidere quanto e cosa si riuscirà a dipingere ogni giorno. L’esecuzione di un affresco si calcola a giornate: in una sessione si dipingono le gambe di una figura, in quella successiva ci si dedica al torso o alle braccia, poi si passa al volto e così via fino a completare l’opera.

Il colore deve essere steso su uno strato di intonaco ancora fresco, in modo tale che la pittura penetri nel muro e diventi il muro stesso, senza il rischio di staccarsi e cadere. E se il giorno dopo non si è soddisfatti del proprio lavoro è impossibile rimediare: si deve ricominciare tutto da capo, rimuovere l’intonaco e ripetere l’intera giornata.

L’affresco non permette ripensamenti, richiede un metodo e un ritmo che Leonardo non può sopportare, così decide di utilizzare un tipo di tempera piuttosto sperimentale, in cui il pigmento viene sciolto nella chiara d’uovo con un aggiunta di olio, per dare alla materia lucentezza e maggiore aderenza alla superficie ruvida del muro.

Grazie a questa brillante soluzione, può spendere intere giornate soltanto a osservare la parete e cercare l’immagine giusta, o far passare settimane senza toccare il pennello.

Ora vi è da sottolineare che fin dal VI secolo l’Ultima cena viene raffigurata sempre allo stesso modo.

L’episodio è narrato in tutti i Vangeli e rappresenta una delle tappe fondamentali della passione di Cristo. Ma piuttosto che raccontare il gesto di Gesù che spezza il pane e lo distribuisce agli apostoli, la tradizione ha preferito immortalare un altro momento di quel pasto: quando Cristo annuncia l’imminente tradimento di Giuda.

Molti artisti fino ad allora avevano rappresentato la medesima scena, dunque alle prese con l’Ultima cena Leonardo deve confrontarsi con illustri precedenti.

E nonostante tutto il suo Cenacolo è completamente rinnovato. Figura dopo figura, di dettaglio in dettaglio, una pennellata sopra l’altra, Leonardo ha messo a soqquadro l’iconografia tradizionale e ha costruito un immagine che si impone come il nuovo modello a cui si ispireranno tutti i pittori a venire.

L’artista si muove come un regista alle prese con la realizzazione di un film. Si concentra prima di tutto sugli apostoli e cerca per ciascuno il gesto che possa raccontare il suo stato d’animo. Ogni discepolo è diverso dall’altro, si muove in uno spazio autonomo e dialoga con i compagni.

Leonardo mette in scena una vera e propria coreografia, in cui gli apostoli sono raccolti a gruppi di tre.

Il Vangelo racconta che alle parole di Gesù, “i discepoli si guardano gli uni gli altri“: è la prima volta che questo accade veramente in un dipinto.

All’estrema sinistra, Bartolomeo è scattato in piedi e fissa Cristo per capire se ha sentito bene, Giacomo minore bussa alla schiena di Pietro, mentre Andrea alza le mani per dichiarare di essere completamente all’oscuro della faccenda.

La loro reazione è tutto sommato equilibrata al confronto con i gesti degli altri tre apostoli subito accanto.

Pietro sussurra all’orecchio di Giovanni: “Dì, chi è colui a cui si riferisce?”, mentre il giovane lo ascolta rassegnato, quasi che respinga la tremenda notizia appena data da Gesù. Ed è qui che Leonardo si prende il primo piccolo rischio; l’amato apostolo non è appoggiato al petto del maestro, come sempre rappresentato fino ad allora, ma se ne allontana.

Senza saperlo, con questa scelta scatenerà un putiferio di ipotesi e supposizioni nei secoli futuri (Dan Brown, per fare un esempio, con il suo celeberrimo Codice da Vinci ha costruito la sua fortuna dando alla luce un best-seller), ma in realtà vuole soltanto liberare la figura di Cristo e lasciarle intorno lo spazio utile ad esaltarne la presenza.

Guardando i volti di Pietro e Giovanni, così vicini e così diversi, torna alla mente la teoria che Leonardo ha applicato più volte in passato, quella secondo la quale l’accostamento dei contrari provoca un effetto maggiore nello spettatore.

I due apostoli appartengono a due mondi opposti, impetuoso l’uno e docile l’altro. La mano di Pietro agguanta il coltello, ma rispetto alle altre rappresentazioni dell’Ultima Cena non vuole usarlo per tagliare il pane, ma è pronto a scagliarsi sul traditore. La posizione delle sue dita lo rivela chiaramente.

Accanto a Pietro e Giovanni compare Giuda. Non più rappresentato dall’altra parte del tavolo come di consueto, il traditore fa perdere le sue tracce tra i volti dei compagni. Per renderlo riconoscibile agli occhi degli spettatori, Leonardo lo mette in ombra per tenerlo separato: il suo è l’unico volto non colpito dalla luce della grazia divina che abbraccia tutti gli altri. E’ immerso nel peccato. Non solo, ma sta anche per prendere il boccone offerto da Gesù con la mano sinistra ma scosso dalle parole di Cristo, l’Iscariota ha serrato di scatto la mano sul sacchetto dei denari e nella concitazione ha urtato con il braccio la saliera, che è appena caduta sul tavolo rovesciando il prezioso condimento.

Un dettaglio da vero maestro, un espediente sottile e raffinato che Leonardo usa per illuderci di aver appena assistito ad un gesto improvviso.

Sul lato opposto della tavola compare la reazione di altri tre apostoli, che saltano quasi sulla sedia. Giacomo maggiore spalanca le braccia e fissa con terrore l’incontro imminente tra la mano di Gesù e quella di Giuda; ha già capito chi è il traditore. Filippo guarda Cristo supplicandolo con gli occhi, quasi in lacrime. A Tommaso spetta il gesto che Leonardo adora inserire in quasi tutti i suoi dipinti: il dito puntato verso il cielo, quasi una firma dell’artista. Stavolta la posa si addice perfettamente al discepolo, che con quel dito tra pochi giorni cercherà di verificare con mano se Gesù è davvero risorto.

La tensione di questi personaggi è alle stelle, stanno quasi per aggredire il loro maestro.

Meno sconvolti sono gli ultimi tre, Matteo, Giuda Taddeo, e Simone lo Zelota. E’ come se dal quel punto del tavolo non avessero capito bene le parole di Gesù e si stessero consultando per trovare una risposta alle loro domande. Di certo sui loro volti non compare il terrore degli altri, piuttosto il dubbio.

I due gruppi più vicini a Cristo sembrano molto più inquieti di quelli alle estremità della tavola.

E’ non è un caso. Leonardo ha voluto simulare con le loro reazioni a catena l’effetto della diffusione del suono.

Le parole di Gesù sono giunte nitide agli apostoli più vicini, che reagiscono all’istante, rovesciano gli oggetti sulla tovaglia, spalancano la bocca e scoppiano a piangere. Ai lati della scena invece, la notizia si è persa, il suono è arrivato più debole e c’è bisogno di un chiarimento.

Ecco perché Giacomo minore cerca una conferma da Pietro, e Matteo allunga le mani dietro la schiena rivolgendosi ai compagni: “Ma cosa ha detto? Ho capito bene?”.

Leonardo ha creato una scena perfetta, dove Cristo esercita un potere d’attrazione irresistibile, infatti il centro della sua fronte è il punto dove si incontrano le linee della prospettiva su cui è costruito l’intero Cenacolo.

Secondo i resoconti storici, non è stato facile per Leonardo inventare i volti degli apostoli, ma il volto che lo fece dannare di più fu senza ombra di dubbio quello di Giuda.

Non era un volto facile da trovare, perché doveva essere quello di una persona vile e ignobile, e questo portò Leonardo a un’ulteriore eccessiva lentezza e discontinuità nel prosieguo dell’opera, che diede non poco fastidio ai monaci del Convento di Santa Maria delle Grazie.

Il priore del convento in particolare, sollecitò più volte l’artista a finire l’opera del refettorio, fino addirittura a rivolgersi a Ludovico il Moro, duca di Milano, affinché facesse pressioni sullo stesso da Vinci.

E fu così che Leonardo trovò il volto di Giuda…per ripicca gli affibbiò i connotati del priore molesto.

Era nato un capolavoro.