Una volta, i beduini arabi richiedevano a due testimoni in disaccordo di leccare un ferro rovente. Quello la cui lingua si bruciava era considerato bugiardo.

Si narra che gli antichi cinesi, durante un interrogatorio, dessero da masticare polvere di riso al sospettato: se quando veniva sputato, il riso era asciutto, questi era colpevole.

Nell’antica Britannia, un sospettato che non riusciva a deglutire un pezzo di pane e formaggio veniva condannato.

Tutte queste “prove”, erano basate sulle remote osservazioni di una mutazione fisiologica che di solito accompagna la tensione emotiva: il flusso salivare decresce e la bocca si inaridisce.

Anche ai giorni nostri, alcune variabili fisiologiche sono talvolta considerate segno che la persona in cui avvengono questi mutamenti non sta dicendo la verità.

Le tecniche moderne messe a punto per cercare di distinguere i bugiardi dai sinceri sono senz’altro più sofisticate, ma in molti sostengono che la precisione nella discriminazione non ha fatto grandi progressi.

Il poligrafo, popolarmente conosciuto come lie detector o macchina della verità, a prima vista ha un aspetto del tutto innocente.

Da un lato si raggruppano manopole e quadranti, dall’altro quattro pennini inchiostrati sono pronti a scrivere su un rotolo di carta.

Non appena però, ne vengono estratti tubi ed elettrodi ed un soggetto umano vi viene collegato assume un aspetto più sinistro.

I primi tentativi di registrare strumentalmente le variabili fisiologiche che accompagnerebbero la menzogna, risalgono al 1895 con gli esperimenti di Cesare Lombroso.

Il criminologo, misurando i cambiamenti della frequenza del polso, della pressione sanguigna, e del ritmo della respirazione nel corso degli interrogatori di alcuni sospetti delinquenti, ritenne di riuscire ad identificare con buona probabilità i colpevoli.

Di fatto tutta la strumentazione di cui è composta la cosiddetta macchina della verità, si limita a registrare le variazioni di alcune semplici risposte fisiologiche che sono indizi di attivazione emotiva: pressione arteriosa, battiti, respirazione, conduttanza della pelle.

Poi entra in campo il tecnico.

Chi manovra lo strumento, con tono pacato, spiegherà il suo utilizzo ed assicurerà il soggetto sottoposto al test della sua altissima precisione.

Discuterà le domande che intende sottoporre, accenderà la macchina e comincerà ad interrogare.

La tecnica standard utilizzata rispecchia il metodo cosiddetto “rilevante-irrilevante”, secondo cui le risposte fisiologiche di un soggetto a domande irrilevanti quali “Ti piacciono i cani?”, sono comparate alle reazioni a domande del tipo “Hai ammazzato tua moglie?”.

Ad ogni domanda si deve rispondere semplicemente si o no.

A fine interrogatorio, combinando le letture dello strumento con l’osservazione del comportamento del soggetto, si saprà se questo ha detto o meno la verità.

Infatti la teoria del poligrafo, sostiene che stimolate da una serie di domande, le reazioni fisiologiche (modificazione della pressione del sangue, frequenza del battito cardiaco, ritmo della respirazione, sudorazione dei polpastrelli delle mani) smascherano le menzogne in modo attendibile.

Ma in realtà non è così, per questo in Italia lo ritroviamo relegato come strumento di spettacolo all’interno di alcune trasmissioni televisive.

L’esattezza del poligrafo, come di qualunque altra tecnica per l’individuazione delle menzogne, dipende dal tipo di menzogna, dal suo autore e da chi è chiamato a smascherarla.

L’esattezza dei risultati che emergono dal suo utilizzo dipende anche dalla particolare tecnica di interrogatorio, dall’abilità dell’esaminatore nel preparare il questionario, e dal modo di interpretare i tracciati.

Funziona?

Si, qualche volta.

Perché non esiste una risposta specifica alla menzogna: la macchina registra semplicemente i cambiamenti fisiologici prodotti principalmente da un generale risveglio di emozioni, ma non può distinguere ansietà o indignazione da colpa, malgrado le sofisticate tecniche di controllo che sono state messe a punto nel corso degli anni.

Che cosa succede se sono le condizioni stesse della prova a cui il soggetto viene sottoposto a generare in lui sensazioni anomale o di ipertensione?

O se la macchina viene “ingannata” da un soggetto che irrigidisce i suoi muscoli o si concentra su una qualche immagine particolarmente eccitante?

Una persona colpevole può simulare un forte stress anche di fronte a domande innocenti e pertanto può ridurre la capacità di discriminare le sue reazioni, ingannando il poligrafo, anche semplicemente mordendosi la lingua, o contando alla rovescia.

In conclusione, non esiste alcun mezzo infallibile per riconoscere una menzogna…e questa è la verità.