Quella che state per leggere è la storia di tre amici, Omar al-Khayyam, Abdul Kasem e Hasan-e Sabbah, che nella Persia nord-orientale nella seconda metà dell’anno 1000 studiavano alla medersa, la scuola musulmana di Nisapur.

Il terzetto era diventato inseparabile; insieme, i tre giovani avevano vissuto momenti meravigliosi di studio e di piacere. Come tutti gli studenti del mondo, in tutte le epoche, passavano serate folli, occupate da feste interminabili. Alla fine di una di quelle serate, uno dei tre amici propose agli altri due un patto: il primo che avesse raggiunto la gloria e la fortuna avrebbe aiutato gli altri, e si giurarono fedeltà a vicenda. Il primo a raggiungere la gloria fu Abdul, che sotto il nome di Nezam-ol-Molk, diventò il gran visir del sultano Alp Arslan. Abdul non aveva dimenticato il patto che lo univa agli altri due amici, così propose loro un posto importante a corte. Omar rifiutò la proposta e chiese invece di essere messo in grado di studiare finché ne avesse bisogno, cosa che gli venne concessa attraverso una rendita. Hasan invece, accettò seduta stante il posto di prestigio che gli era stato offerto. Colto e intelligente, Hasan si conquistò ben presto la stima del sultano e si mise a complottare contro Abdul per prendere il suo posto. Abdul però, abile e pieno di risorse, prima aveva parato il colpo, poi aveva fatto condannare a morte l’ex amico. A questo punto Omar intervenne presso il sultano, ottenendo la grazia per Hasan, che venne bandito dalla città; ma doveva cambiare dimora di continuo per sfuggire agli uomini di Abdul, che aveva giurato di vendicarsi. Così era partito alla ricerca di un rifugio che gli consentisse di sfuggire agli inseguitori. A sud del mar Caspio sorgono i monti di Elbrus, una lunga catena montuosa le cui cime sfiorano i seimila metri.

Hasan aveva sentito parlare di un fortino sperduto tra le montagne e si era convinto che quello fosse il luogo ideale in cui rifugiarsi.

Era quindi partito, accompagnato da un piccolo gruppo di seguaci. In mezzo alla neve e al ghiaccio, dopo aver affrontato percorsi estenuanti, costeggiato gole scoscese, superato passi dall’aria sinistra, dopo giornate intere di viaggio, aveva avvistato un autentico nido d’aquila, appollaiato in cima alla montagna. Si trattava della fortezza di Alamut, circondata da un fossato pieno d’acqua ghiacciata.

Per penetrarvi esisteva un’unica via: un ponte levatoio gettato su uno strapiombo. Hasan capì subito che la fortezza era inespugnabile e che non avrebbe potuto impadronirsene con la forza. Così, dopo aver ordinato ai suoi compagni di nascondersi, si fece avanti da solo, chiedendo di essere ricevuto dal comandante del forte. Il ponte levatoio fu abbassato e rialzato subito dopo il suo passaggio. Al comandante della fortezza Hasan, che aveva con sé una pelle di bue, propose di dare cinquemila pezzi d’oro in cambio di tanto terreno quanto era possibile delimitarne con quella pelle. Il comandante del forte, non credendo alle sue orecchie, volle vedere l’oro, e Hasan glielo mostrò; erano davvero cinquemila pezzi d’oro. Convinto di aver a che fare con un pazzo, il comandante accettò la proposta. Il ponte levatoio si abbassò di nuovo e Hasan si diresse ai piedi delle mura della fortezza, puntando il dito al suolo. Ma, invece di stendere la pelle di bue nel punto prescelto, vi piantò un piolo e, dopo aver estratto dalla veste un lungo coltello, si mise a tagliare la pelle in lamelle sottili; infine, legando le lamelle l’una all’altra, fissò al piolo un’estremità della corda di cuoio così confezionata. Poi, tenendo in mano l’altro capo, prese a camminare lungo la cinta delle mura: ben presto fece il giro della fortezza, cingendola con la sua pelle di bue. La fortezza era sua, tanto più che i suoi compagni avevano approfittato del momento per introdursi all’interno delle mura. A quel punto, l’ex comandante abbandonò la fortezza con i cinquemila pezzi d’oro. Non appena si installò nella fortezza, Hasan intraprese strane modifiche. All’interno delle mura spoglie, in un angolo appartato della fortezza, al riparo da sguardi indiscreti, fece costruire un autentico paradiso. Giardini incantevoli, ruscelli limpidi come il cristallo, boschetti, aiuole fiorite. Un luogo di delizie, rigorosamente sorvegliato. A parte poche persone, nessuno ne conosceva l’esistenza. Era un luogo segreto che Hasan aveva riservato a uno scopo tutto particolare. Hasan aveva selezionato con cura alcune decine di giovani, scelti in tutto l’Oriente per il loro vigore e le loro qualità di combattenti. Condotti ad Alamut, quei giovani seguivano dei corsi intensivi in cui per mesi venivano addestrati a diventare guerrieri pronti ad affrontare ogni genere di combattimento. Quando arrivava l’ultimo giorno di addestramento, Hasan offriva loro un grande banchetto, alla fine del quale somministrava loro una forte dose di droga: un’erba di cui possedeva una grande riserva. Quando sprofondavano in un sonno profondo, li faceva trasportare nel giardino segreto e l’indomani, al loro risveglio, non credevano ai loro occhi. Erano in paradiso! Un paradiso popolato da splendide fanciulle che, chine sul loro giaciglio, finivano di svegliarli con ogni sorta di carezze. Cominciava allora una giornata di delizie quali non avevano mai osato sperare neanche nei loro sogni più folli. A sera, nel corso di una sontuosa cena in giardino, somministrava di nuovo quell’erba dagli effetti strani, prima di farli trasportare nella loro stanza. Al risveglio i giovani, in preda a un’intensa eccitazione, non finivano più di parlare, decantando la bellezza delle fanciulle, la loro dolcezza, il loro amore, i frutteti deliziosi, gli uccelli dai mille colori, le vivande prelibate, la frutta, i vini… Un sogno sì, ma così intenso, così reale… Hasan li calmava e con tutta l’autorità che era in grado di esercitare, assicurava loro che quanto avevano intravisto non era un’illusione, bensì il paradiso vero e proprio, e garantiva che vi sarebbero tornati, ma solo se fossero morti nel corso delle missioni che erano stati preparati a compiere nelle lunghe settimane d’addestramento, e per le quali sarebbero partiti il giorno seguente. Hasan era molto cambiato: il condannato all’esilio era diventato il gran maestro di una setta religiosa, quella degli ismailiti. Visir, califfi e sultani perseguivano i membri della setta a causa delle loro credenze, e Hasan aveva dichiarato loro una guerra senza quartiere, che mirava ad eliminare i massimi esponenti della parte avversa. Il suo esercito era composto dai giovani guerrieri, che scatenava contro le vittime designate; quei giovani affrontavano qualunque rischio, perché non avevano paura della morte anzi, la desideravano, visto che era il loro passaporto per il paradiso promesso da Hasan. Non fallivano mai il bersaglio. A causa dell’erba che veniva loro somministrata prima delle missioni, oppure perché quei folli invasati dal sogno del paradiso erano inviati da Hasan, i guerrieri furono soprannominati hashashin, assassini.

Una mattina, il visir Nezam-ol-Molk (Abdul) fu trovato pugnalato a morte nella sua tenda, nel bel mezzo dell’accampamento reale. L’assassino, inviato dal suo vecchio amico di gioventù Hasan, fu giustiziato subito: ma, quando la scure gli recise il collo, sorrideva, ansioso di raggiungere il paradiso che gli era stato promesso. Hasan invece morì nel suo letto, ad Alamut, che non aveva mai lasciato dal giorno in cui era riuscito a penetrarvi per la prima volta. Da tempo si parlava di lui con timore, chiamandolo “il Vecchio della Montagna”.

Attenzione però; la dottrina ismailita, nata verso la metà dell’ VIII secolo, non ha sempre predicato l’assassinio. Dopo la morte di Hasan, è ridiventata molto più pacifica. La sua dottrina consisteva, e consiste ancora, nel liberare lo spirito da tutto ciò che potrebbe ostacolarlo e condizionarlo.

Tanto per dirne una, la prima enciclopedia filosofica e scentifica della storia è stata interamente concepita dagli ismailiti e le Mille e una notte sono d’ispirazione ismailita.

 

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