Quello di cui parleremo oggi, è uno dei manufatti più misteriosi giunti fino a noi, e uno dei più interessanti enigmi del passato.

Si tratta sostanzialmente di un cranio pesante 5 chili e 19 grammi, alto 13 centimetri, largo altrettanto, e lungo 18, scolpito in un unico pezzo di puro cristallo di quarzo trasparente con all’interno splendide venature, e con la mandibola snodata; il che gli conferisce un realismo impressionante.

Gli occhi a forma di prisma incutono un certo timore, ma questo cranio di cristallo non può essere ammirato da tutti nella teca di un museo, perché è di proprietà della signora Ann Mitchell-Edges che lo custodisce avvolto in un panno e ben chiuso in una scatola, come un prezioso gioiello.

Si dice che tanta cura sia dovuta alla cattiva fama del teschio, ribattezzato da molti teschio del destino, dove la parola destino è usata in un’accezione negativa per indicare qualcosa di maledetto.

Il ritrovamento di questo cranio di cristallo è stato effettuato dalla stessa signora Mitchell-Edges, nel lontano 1927, quando all’epoca diciassettenne, accompagnò il padre adottivo, l’inglese F.A. Mitchell-Edges, in una perigliosa esplorazione dell’Honduras britannico (oggi Belize), alla ricerca di antiche rovine Maya.

Il padre di Ann era uno di quei personaggi che sembrano usciti da un romanzo d’avventura.

Esploratore, archeologo dilettante e avventuriero, aveva un incredibile passione per le antiche civiltà perdute, e all’inizio degli anni 20 si era messo in testa di esplorare buona parte del continente americano alla ricerca di indizi relativi all’esistenza di Atlantide.

Mike infatti, era convinto che da qualche parte nascoste nella vegetazione delle immense foreste centro e sudamericane dovessero esistere tracce di antiche colonie atlantidee cadute in rovina ed ereditate dagli antenati dei popoli precolombiani dopo il cataclisma che migliaia di anni fa avrebbe fatto sprofondare il mitico continente.

Nel 1927 il teschio di cristallo venne alla luce quasi fortuitamente, almeno stando alle dichiarazioni successive di Ann, che letteralmente si imbatté nel manufatto il giorno del suo diciassettesimo compleanno.

Mentre stava passeggiando tra le rovine durante una pausa degli scavi, Ann fu attirata dallo scintillare di qualcosa che giaceva per metà sepolto nel terreno vicino ad un grosso altare.

Una volta riportato alla luce completamente, dapprima il cranio e successivamente, qualche giorno dopo, la mandibola, che si trovava a qualche metro di distanza, l’oggetto venne ripulito con cura e offerto da Mitchell-Edges come omaggio agli indigeni del luogo, discendenti diretti del popolo Maya.

Questi ultimi dapprima accettarono, poi, in segno d’amicizia, restituirono il teschio agli scopritori nel momento in cui questi lasciarono il Belize.

Interrogati sul significato di quella reliquia, gli indigeni risposero che il manufatto rappresentava un’antica divinità Maya che aveva il duplice potere di guarire dalle malattie oppure di causare la morte scatenando una potente maledizione.

Il teschio divenne allora parte della collezione di famiglia Mitchell-Edges, che dopo il ritrovamento non rilasciarono altri dati sulla vicenda.

Il pezzo risale almeno a tremilaseicento anni fa, e secondo gli scienziati ha richiesto l’opera di generazioni e generazioni per molare pazientemente l’enorme blocco di cristallo da cui è stato ricavato un cranio perfetto.

Secondo la leggenda, veniva utilizzato dal grande sacerdote dei Maya per compiere riti esoterici; come succede per la maggior parte delle leggende però, anche questa è arbitraria e difficilmente verificabile.

Viene da chiedersi quindi se Mitchell-Edges aveva interesse a creare un alone di mistero nei confronti della sua scoperta, oppure, come qualcuno forse un po avventatamente afferma, l’esploratore desiderava impedire che il presunto potere malefico del teschio potesse cadere nelle mani sbagliate.

Di certo la figura di Mitchell-Edges non era granché ben vista negli ambienti accademici. Da molti era considerato solo uno sbruffone, un giocatore d’azzardo e un mistificatore.

Le malelingue si spinsero ad ipotizzare che la storia del teschio fosse una colossale montatura organizzata dall’esploratore solo per compiacere la figlia Ann, proprio il giorno del suo compleanno, dando a quest’ultima la soddisfazione di un ritrovamento così importante.

E’ interessante notare però che nella cultura Maya e anche in quella degli Aztechi, non è raro imbattersi in una divinità dall’aspetto terrificante che per convenzione è stata battezzata dagli studiosi il “dio della morte”.

Questa divinità sembra avere le fattezze del teschio di cristallo, e la sua presenza è diffusa in tutta la penisola dello Yucatan, e ancora fino in Perù, Guatemala e Belize, dove esistono molti riferimenti archeologici al culto del cranio.

Una delle raffigurazioni più interessanti del dio della morte è quella rinvenuta tra le rovine di Chichen Itzà, una città Maya situata nello Yucatan e ereditata successivamente dal popolo dei Toltechi.

Qui è possibile visitare il cosiddetto Tempio delle Tigri, una costruzione a struttura piramidale circondata dallo tzompatli, o rastrelliera dei crani, una cinta ricoperta da bassorilievi che ripetono lo stesso macabro motivo, ovvero il profilo di una testa scarnificata. Questo tempio sottolinea in modo evidente l’importanza del sacrificio umano nella cultura tolteca, da sempre dedita a rituali sanguinari.

Quindi il motivo del teschio sarebbe alquanto diffuso nel’area occupata dalle antiche civiltà precolombiane.

Dobbiamo far notare però, che considerare originario di queste culture il teschio di cristallo significherebbe ammettere che si tratta di un oggetto anacronistico, fuori dalla portata della tecnologia di quei tempi.

E allora?

Si potrebbe ipotizzare (anche se pressoché impossibile da dimostrare) che il teschio di cristallo sia frutto di una tecnologia superiore di origine non terrestre, ma la prudenza e il buon senso devono indurci a prendere con le pinze una simile interpretazione.

Infatti prima di arrivare a simili conclusioni, bisognerà cercare di capire se lo sviluppo tecnologico di civiltà ancora in parte enigmatiche fosse realmente incapace di produrre simili meraviglie.

Com’è successo in altri contesti culturali, ad esempio in Egitto con le piramidi, non è da escludere che lo sforzo congiunto di molti individui unitamente a una sorprendente conoscenza dei metodi di lavorazione dei materiali abbia potuto trasformare la materia grezza in qualcosa destinato a stupire le generazioni future a distanza di secoli.

 

Foto teschio di cristallo di Rafał Chałgasiewicz  sotto licenza  Creative Commons Attribution 3.0 Unported

Foto Chichen-Itzà di Dronepicr  sotto licenza  Creative Commons Attribution 3.0 Unported

Foto Tzompantli di Anagoria  sotto licenza  Creative Commons Attribution 3.0 Unported