Il cuore smette di battere…Il respiro si arresta…Nel suo letto d’ospedale il paziente comincia a cadere nell’incoscienza.

La sua percezione sensoria si fa sempre più sottile. La vista si annebbia, i rumori si affievoliscono.

Il dolore che fino a poco prima martoriava il suo corpo cessa e il corpo stesso diviene più leggero, quasi inconsistente.

L’incoscienza adesso è totale.

Il corpo giace inerte mentre con movimenti rapidi, decisi ed estremamente coordinati un pool di medici e infermieri si prodiga per rianimarlo.

Massaggio cardiaco, iniezioni di stimolanti nel torace e infine il defibrillatore.

Tutto sembra inutile. La morte sta sopraggiungendo implacabile.

Ma dal punto di vista del paziente sta accadendo qualcosa di assolutamente inaspettato.

In questo momento la sua mente percepisce delle immagini che scorrono come un film fortemente accelerato. Egli le riconosce come le immagini della propria vita. I momenti più salienti della sua esistenza vengono evidenziati in rapida successione come velocissimi flashback.

I giochi d’infanzia, il primo giorno di scuola, la prima cotta, il giorno del matrimonio, la nascita dei figli…

D’improvviso egli si ritrova sospeso in una posizione sopraelevata nella stanza dell’ospedale.

Può vedere sotto di sé il suo corpo esanime in preda ai sussulti dello shock elettrico causato dalle piastre del defibrillatore, manovrate sul suo torace in un estremo tentativo di riattivare il cuore.

Tutto quello che vede e che sente sembra però accadere a qualcun’altro. Il paziente infatti non è più nel suo corpo.

Si trova immerso in una realtà diversa, e sta per cominciare un viaggio che lo porterà ai confini della vita.

Cominciano così, pur con qualche inevitabile variante, quasi tutte le esperienze di pre-morte.

Tutti ne hanno sentito parlare, tanto che a volte sembra di trovarsi di fronte a un cliché, a un luogo comune, non fosse altro per il fatto che il cinema e la televisione hanno attinto a piene mani da questa fenomenologia consacrandola di fatto nell’immaginario collettivo (vedi Ghost o Linea mortale).

E tuttavia, nonostante l’indubbia spettacolarizzazione generata dai fenomeni di pre-morte, questo argomento è di enorme importanza e meriterebbe molta più attenzione da parte della scienza.

Fortunatamente fin dall’inizio il lavoro di ricerca relativo alle NDE, Near Death Experiences (esperienze di pre-morte) non è stato condotto da improvvisati ricercatori, ma proviene dagli ambienti della medicina.

Tuttavia si è cominciato a parlare di esperienze di pre-morte solo negli anni settanta; questo perché solo a partire da quegli anni le tecniche di rianimazione hanno subito un balzo in avanti tale da consentire con maggior frequenza il recupero di pazienti in condizioni critiche e considerati già clinicamente morti.

Una volta tornati in vita, alcuni pazienti cominciavano a raccontare strane storie a proposito di ciò che avevano visto e percepito.

Alcuni medici ascoltavano con distacco e sufficienza queste storie, senza lasciarsi coinvolgere più di tanto, altri invece cominciarono a raccogliere dati e ad organizzarli.

Per prima cosa ci si rese conto che le esperienze di pre-morte sono molto simili per tutti, indipendentemente dalle differenze di razza, cultura o religione.

Al momento della morte i soggetti sperimentano la separazione dal corpo fisico, quella che in gergo viene definita OOBE (Out Of Body Experience).

Una sorta di Io extracorporeo assiste impotente ai tentativi di rianimazione, dopodiché comincia un viaggio in un ambiente trascendentale, di solito un tunnel oltre il quale si vede una luce calda e rassicurante.

In questa luce il soggetto trova ad attenderlo gli amici o i parenti defunti, oppure, a secondo del credo religioso, una figura mistica (un santo, la Madonna, Gesù Cristo, angeli ed altre entità benevole).

Di solito a questo punto il soggetto viene avvertito, o si rende conto da solo, che se oltrepasserà un “confine” non potrà più tornare indietro.

La fase successiva è il ritorno nel corpo materiale.

Ma che emozioni sperimentano coloro che vivono una NDE?

Per lo più si tratta di emozioni positive. Un senso di calma e di pace interiore, a volte perfino di felicità.

Quel che è sconcertante è il contrasto tra la sofferenza del corpo fisico e l’assoluta assenza di dolore durante l’esperienza. Paradossalmente infatti, alcuni pazienti sono scontenti di interrompere l’esperienza, e perfino gli eventuali momenti di tristezza temporanea che si possono provare, sono avvertiti più che altro per il dispiacere di osservare la disperazione di tutti coloro che si affannano intorno al corpo del paziente per riportarlo alla vita.

Le percezioni visive durante lo sdoppiamento tra corpo fisico e Io distaccato sono un’esperienza molto comune. Queste percezioni risultano di solito chiare e nette.

Anzi, spesso la vista si fa acutissima e il soggetto è in grado di distinguere particolari anche molto piccoli.

Pazienti che non avevano la minima idea di come si potesse svolgere un intervento di rianimazione, sono stati in grado di descrivere nel dettaglio ciò che i medici e i paramedici avevano fatto per riportarli in vita; in alcuni casi sono stati in grado di distinguere nettamente e in modo particolareggiato i valori apparsi sui quadranti delle attrezzature di rianimazione utilizzate dai medici,o di descrivere la forma e le modalità di utilizzo di strumenti e attrezzature che non avrebbero dovuto assolutamente conoscere,ma che erano stati utilizzati durante la rianimazione.

Invece, quasi tutti i tentativi di comunicazione dell’Io distaccato con le altre persone fisicamente presenti al capezzale del morente si concludono con un nulla di fatto. Nessun tentativo di informare i parenti o gli amici che tutto va bene è mai andato a buon fine, nonostante questo sia un desiderio molto forte da parte dei soggetti che sperimentano una NDE.

Ma esiste una spiegazione razionale alle esperienze di pre-morte?

Ovviamente si.

Alcuni medici considerano le esperienze di pre-morte come visioni provocate dal mancato afflusso di sangue al cervello durante la crisi vitale, in concomitanza con la somministrazione di anestetici o altri farmaci.

Il viaggio dell’Io extracorporeo non sarebbe poi altro che un archetipo comune a tutta l’umanità, e rappresenterebbe in realtà un ricordo deformato della nascita (dal buio dell’utero materno alla luce del mondo esterno).

Ma bastano queste considerazioni a cancellare la mole di dati raccolti dagli studiosi?

Se di allucinazioni si tratta, come si spiegano le dettagliate descrizioni delle fasi immediatamente successive alla perdita di coscienza?

E’ evidente che non si possono ignorare tutti i dati solo per inquadrare il fenomeno in uno schema precostituito.

Forse questo è uno di quei casi in cui sarebbe molto meglio cercare di considerare maggiormente e con più rispetto il valore della testimonianza umana.

 

 

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