Nel corso della storia, la conoscenza progredisce e arretra, avanza e si ritira come una marea.

Ciò che una volta era noto si dimentica, perdendosi nelle nebbie del tempo, solo per essere riscoperto in futuro, magari a distanza di secoli.

Millenni or sono, gli antichi Maya studiarono il movimento delle stelle e svilupparono un calendario che non ha sbagliato di un giorno in duemilacinquecento anni, un’impresa astronomica che avrebbe impiegato centinaia di anni per ripetersi.

All’apice dell’impero Bizantino, l’arte bellica fu rivoluzionata dall’invenzione del “fuoco greco”, un’arma incendiaria che non poteva essere spenta dall’acqua.

La formula di quella letale miscela infiammabile andò perduta nel corso del X secolo e fu riscoperta solo negli anni ’40, con la creazione del napalm.

Ma com’è possibile che l’antichità non abbia più avuto accesso a quelle conoscenze?

Una delle spiegazioni possibili risale al I o al II secolo, quando un incendio ridusse in cenere la leggendaria biblioteca di Alessandria.

Si dice che la biblioteca, fondata intorno al 300 a.C. in Egitto, contenesse oltre un milione di rotoli, una miniera di cultura di dimensioni ineguagliate.

Attirava studiosi da ogni parte del mondo conosciuto.

Il responsabile della sua distruzione resta ignoto: alcuni attribuiscono la colpa a Giulio Cesare, che appiccò il fuoco ai moli di Alessandria. altri accusano i conquistatori arabi.

Ciò che è certo, tuttavia, è che tra quelle fiamme un immenso tesoro di segreti e conoscenze, tramandato nei secoli, andò perduto e svanì per sempre.

Attenti però, perché alcuni segreti non vogliono saperne di restare sepolti.

 

Foto biblioteca in evidenza di Jorge Royan sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

Foto codice di Dresda di Lacambalam sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International