L’ultima partecipazione di Fedez al concertone del primo Maggio ha fatto tornare in auge, mettendolo in evidenza,  il fenomeno della censura. Secondo la definizione classica, la censura altro non è che  il controllo della comunicazione da parte di un’autorità, che limita la libertà di espressione e l’accesso all’informazione con l’intento dichiarato di tutelare l’ordine sociale e politico.

Esistono diversi tipi di censura, ma tra i più comuni ricordiamo:

  • la censura repressiva, che è quella che colpisce successivamente alla diffusione del “testo”, sia esso carta stampata, programma televisivo, film, ecc. Ciò avviene tramite il suo sequestro.
  • la censura preventiva, che è quella che avviene prima della divulgazione dell’oggetto, tramite un controllo delle autorità delegate di esso; dunque non è mai presente la divulgazione del testo non censurato.
  • la censura militare, che è quella che impedisce ai singoli soldati di esprimere opinioni e divulgare informazioni che possano mettere in cattiva luce l’istituzione militare o comprometterne la sicurezza.
  • la censura politica, che è quella che nei regimi autoritari impedisce a individui, associazioni, partiti e mezzi di informazione di divulgare informazioni ed esprimere opinioni contrarie a quelle del potere esecutivo.
  • la censura morale ed estetica, che è quella che  ha lo scopo di impedire che messaggi ritenuti moralmente scorretti, offensivi, volgari o altrimenti sconvenienti possano raggiungere il pubblico o farlo in modo indiscriminato. Un esempio è la censura applicata alla pornografia e alle rappresentazioni esplicite di violenza, che ne limita solitamente l’accessibilità da parte di minori.
  • autocensura, che è quella che è realizzata dal soggetto che è chiamato a esprimere opinioni e a divulgare informazioni, allo scopo di evitare di divulgare contenuti sgraditi a terzi o allo scopo di non incorrere in censura.

Tra i casi emblematici di censura, o quantomeno di tentativo di censura, va ricordato quello che coinvolse il magnate dell’editoria William Randolph Hearst, celebre per la sua smisurata ricchezza che gli permise di creare uno dei più grandi imperi mediatici di sempre, influenzando fortemente lo stile giornalistico e l’opinione pubblica statunitense.

Già il padre di questo novello Re Mida, era riuscito a costruire un leggendario impero nel periodo della corsa all’oro americana (era infatti proprietario di una miniera d’oro molto redditizia), quindi Hearst non era certo nuovo all’ostentazione sfacciata del lusso, basta pensare infatti che la sua residenza non era una semplice casa ma una vera e propria reggia, con ricostruzioni di templi romani, piscine a perdita d’occhio e addirittura un giardini zoologico con decine di esemplari africani.

Tutti, oltre ad una certa invidia, provavano timore nei confronti di William Randolph Hearst. Nel 1941, un giovanissimo Orson Welles realizza uno dei suoi più grandi capolavori, Quarto potere, plasmando la figura del protagonista su quella di Hearst.

 I parallelismi tra Kane (protagonista della pellicola) e Hearst riscontrabili all’interno del film sono moltissimi; la ricchezza dei genitori di Kane dipende da una miniera d’oro, Kane dirige giornali e radio, Kane colleziona opera d’arte e abita in un castello, Kane si innamora di una soubrette, proprio come Hearst.

Il produttore del film, preoccupato di tutte queste similitudini, fece visionare l’opera in anteprima allo stesso Hearst, sperando in una sua reazione positiva, ma quest’ultimo il giorno seguente si presentò negli uffici del produttore gettando sulla sua scrivania una busta piena di banconote (ottocentomila dollari per l’esattezza) che avrebbero dovuto risarcire la casa di produzione cinematografica ed il giovane regista del mancato guadagno, ed in cambio avrebbe dovuto bruciare tutti i negativi della pellicola. Questo episodio rappresenta oltre al tentativo, per fortuna inutile, di sabotare un capolavoro, anche uno dei più clamorosi insulti alla libertà d’espressione artistica. Come si concluse tutta la vicenda? La casa di produzione respinse al mittente gli ottocentomila dollari, e il film di Welles fu oggetto di una titanica campagna di boicottaggio da parte dei potenti network del gruppo Hearst, invitando a non andare a vedere il film e chiedendone pubblicamente la censura. La cosa curiosa è che solo sette anni prima Hearst aveva preso parte ad una conferenza stampa di Adolf Hitler, al termine della quale il Fuhrer gli si era avvicinato chiedendogli come mai la sua politica era vista così male negli Stati Uniti, e in quell’occasione il ricco editore aveva umiliato il despota tedesco impartendogli una lezione magistrale sul valore della democrazia e sul rispetto della libertà di stampa. Ma dov’era finita tutta quella tolleranza alla critica quando fu proprio Hearst ad essere criticato? Il vero Hearst era l’uomo liberale che umiliò Hitler, o il tiranno che voleva azzerare Orson Welles? La verità è che in ognuno di noi alberga una perenne contraddizione che ci fa scontrare con le stesse convinzioni di cui andiamo fieri e che ci vede continuamente vittime e carnefici in modo altalenante. Perché nessuno di noi, in fondo, è all’altezza dei propri ideali.

 

Foto Hearst Castle  sotto licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported