Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente aumento d’interesse nei confronti della cultura vichinga e della mitologia norrena da parte di giovani e adulti. Questo interesse è cresciuto molto grazie alla serie televisiva Vikings che narra le imprese in Inghilterra e in Francia di Ragnarr Lodborok, un eroe semi-leggendario con i suoi figli, alternando personaggi realmente esistiti e altri appartenenti alle leggende. Un altro motivo alla base di questa passione lo dobbiamo ai film dei Marvel Studios su Thor, il dio del tuono, protagonista dell’omonimo fumetto Marvel in cui la mitologia nordica prende vita sul grande schermo, seppure con alcune licenze narrative.

Altri importanti mezzi di divulgazione sono stati videogiochi di grande successo come “God of War 4”, che sposta l’ambientazione dall’antica Grecia al Nord Europa, dove il protagonista Kratos interagisce con i personaggi della mitologia nordica, fino ad arrivare al recentissimo “Assassin’s Creed Valhalla”.

Questi film, fumetti e videogiochi ci consentono, seppur attraverso una prospettiva ludica, di entrare nel mondo della cultura e mitologia norrena, rivelandoci dettagli che affascinano.

Da dove hanno preso tutte queste informazioni gli autori di queste opere?

Oltre alle importanti scoperte archeologiche nel Nord Europa, ci si può avvalere dei racconti degli antichi abitanti europei sulle scorrerie vichinghe e delle stesse fonti norrene come la Saga di Ragnars o la Saga di Erik il Rosso, ma anche dei testi nati dall’incontro tra la cultura musulmana e quella norrena come il viaggio, narrato quasi fosse un racconto epico, dell’arabo Ahmad ibn Fadlan verso le terre del nord.

La cronaca di Ahmad ibn Fadlan è un documento molto prezioso che riporta la descrizione dei luoghi visitati e lo studio delle popolazioni nordiche di quel periodo con i loro usi e costumi dei quali forse altrimenti oggi non sapremmo nulla, grazie anche all’obiettività e precisione del racconto dell’autore.

Ahmad ibn Fadlan fu uno scrittore e viaggiatore arabo sulle cui origini conosciamo ben poco. Sappiamo che era un esperto di giurisprudenza islamica alla corte del Califfo di Baghdad al-Muqtadir e che fu mandato da quest’ultimo, nel 921 d.C., in una missione diplomatica verso il Volga dal re bulgaro Almis, primo regnante musulmano della regione. A testimonianza di questo viaggio, intorno al 922 d.C., descrisse con dovizia di particolari i territori asiatici e scandinavi abitati da popoli ignorati fino ad allora dalla cultura araba. Il fine del viaggio era quello di ottenere dal re dei Bulgari un’alleanza formale con il Califfo di Baghdad, in cambio di somme di denaro per la costruzione di una fortezza difensiva contro i Cazari, una confederazione di tribù seminomadi originarie dell’Asia Centrale. Per molto tempo il resoconto di viaggio di Ibn Fadlan fu citato solo parzialmente nel dizionario geografico di Yaqut al-Hamawi, geografo arabo del XII-XIII secolo. Nel 1923 fu scoperto in Iran un manoscritto, risalente al XIII secolo, che contiene una versione più completa del resoconto di viaggio di Ibn Fadlan; alcuni passi non presenti nel documento sono invece citati nell’opera “Sette Climi” (Haft Iqlim, XVI secolo) del geografo persiano Amin Razi. Durante il suo viaggio, Ibn Fadlan ebbe modo di osservare a lungo i popoli che incontrò, annotando critiche, aspetti per lui straordinari e descrizioni accurate del loro stile di vita. Nel suo diario di viaggio Ibn Fadlan appare particolarmente critico nei confronti della dottrina religiosa praticata dai Bulgari del Volga. Sembra provare disgusto e rabbia nella loro errata interpretazione dell’Islam e tende a giudicare gli incontri con i locali in base alla loro pratica della religione. Secondo Ibn Fadlan, molte delle culture islamiche incontrate lungo il Volga sono “come somari smarriti. Non hanno alcun legame religioso con Dio, e nemmeno fanno ricorso alla ragione”. I Bulgari non avrebbero accettato l’Islam per fede, come mostrerebbero alcuni retaggi della loro precedente religione pagana, ma solo come mezzo per ottenere sostegno dal califfato. Mentre Ibn Fadlan era a Bolghar nel 922, un gruppo di mercanti vichinghi arrivò in città. Il diplomatico musulmano ha avuto l’opportunità di conoscere i costumi di questi nordici.  Come si vestivano, come adoravano gli idoli di legno, come facevano sesso apertamente con i loro schiavi, ecc. In contrasto con molti dei popoli che incontra nel suo viaggio, il viaggiatore elogia l’aspetto dei Vichinghi con queste parole: “Non ho mai visto corpi più perfetti dei loro. Erano come palme. Biondi e rubicondi……..dalla punta dei piedi al collo, ogni uomo è tatuato in verde scuro con disegni“.

 Ibn Fadlan però condanna la loro assoluta mancanza di igiene, definendole “le più sporche creature di Dio”. Gli uomini incontrati da Ibn Fadlan non si lavavano dopo aver mangiato o defecato. Inoltre, la loro unica abitudine di pulirsi era terribilmente malsana: il capo si lavava il viso e la testa in una grande ciotola d’acqua, si soffiava il naso e sputava nel catino; subito dopo, la stessa ciotola veniva passata ad un’altra persona, che faceva le stesse azioni,  passandola di mano in mano senza nemmeno cambiare l’acqua. L’evento di gran lunga più importante a cui Ibn Fadlan ebbe l’opportunità di assistere fu il funerale di un nobile vichingo. Il diplomatico racconta come uno dei suoi schiavi si offrì di morire con il suo padrone. Le persone vicine al defunto avevano avuto rapporti sessuali con la serva, che fu poi sacrificata e deposta con il suo padrone su una nave che fu data alle fiamme. Ibn Fadlan racconta anche con crudezza l’usanza vichinga di trattare le persone ammalate. Venivano separate dal gruppo e rinchiuse in una tenda; mangiavano solo pane e acqua e nessuno li visitava. Se guarivano, tornavano all’interno della comunità, altrimenti morivano e venivano bruciati. Buona parte delle sue descrizioni sono riservate agli usi e costumi. Grazie ad esse, per esempio, oggi conosciamo a quali divinità pagane si rivolgevano gli uomini del Nord durante i sacrifici rituali o la cerimonia funebre rivolta ad un grande capo vichingo a bordo di una sontuosa nave funebre e quella rivolta a persone di rango inferiore: “Quando muore un uomo povero costruiscono una piccola barca, collocano il corpo al suo interno e le danno fuoco. Nel caso di un uomo ricco, radunano i suoi averi e li dividono in tre, un terzo alla famiglia, un terzo come corredo funerario e un terzo per comprare alcol da bere nel giorno in cui la sua schiava si suiciderà venendo bruciata insieme al padrone”.

La cronaca di Ibn Fadlan, è ancora oggi la migliore descrizione che abbiamo relativa alla vita vichinga.

 

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