Il mistero della Pasqua, la resurrezione del Cristo, è uno dei più importanti della storia, sia per l’evento in se stesso, sia per come ha influenzato i millenni successivi. Ma esiste un mistero altrettanto interessante, sempre correlato alla Pasqua: le radici e le fortissime influenze pagane che permeano la ricorrenza più importante per la religione cattolica. Anche se molti potrebbero pensare al Natale come al fulcro delle festività della Chiesa di Roma, il ricordo della nascita di Gesù è importante solo in funzione all’evento cardine per i credenti: la morte e la resurrezione del Figlio di Dio, la cui fede in essa è peculiarità solo dei cristiani.

E’ perciò oltremodo singolare e degno di nota che le origini di questa ricorrenza affondino nelle tradizioni di numerose culture pagane, trasportate al giorno d’oggi praticamente intatte. Quando coloriamo un uovo, o lo decoriamo con un coniglietto o con una farfalla, o quando mangiamo l’agnello, non facciamo altro che ripetere i gesti dei nostri antenati che celebravano riti pagani. I babilonesi adoravano la dea Astarte, madre di Baal, dio del Sole.

I sumeri ed i fenici pregavano Tammuz, divinità nata da una vergine, morta per una ferita al fianco e risorta dopo tre giorni.

Una delle festività dedicate a questi dei era l’equinozio di primavera, che rappresentava il rifiorire della natura. Durante il giorno i bambini andavano alla ricerca di uova, simbolo di fertilità e nuova vita. Si credeva che queste uova provenissero dai conigli, che in numerose culture rappresentano la sessualità e la procreazione. Anche gli egiziani adoravano come divinità i conigli, credendo che fossero generati dalla Fenice, mitico uccello che muore per risorgere dalle proprie ceneri. Scomparsa dai cieli, cacciata da altre divinità, la Fenice è rinata in forma di coniglio, mantenendo la capacità di depositare le uova, in antico ricordo della sua precedente incarnazione. Il legame con il paganesimo si nota ancor di più nei paesi nordici. Mentre i paesi mediterranei assumono il nome ebraico Pesah (passaggio) come comune radice per la parola Pasqua,

nei paesi anglosassoni si usa il termine Easter derivato direttamente dal culto della Dea Madre, che sarebbe una volgarizzazione di Eostre, dea teutonica protettrice del sole nascente, della luminosità del giorno e della primavera.

Anche le popolazioni del nord comprendevano l’uovo nella loro mitologia: da un uovo era nata la Terra, e decorare le uova e regalarle era un omaggio agli dei ed un augurio di fertilità e di potenza sessuale per il ricevente. Di cultura profondamente distante da quella solare dei popoli mediterranei, le popolazioni del Nord Europa non sono state un facile terreno di conversione per i primi missionari che si avventurarono, spesso a seguito di eserciti invasori, verso quelle lande gelate. Per convincere i fieri e duri vichinghi si dovette così giungere a compromessi culturali. Le precedenti divinità e relative feste furono commutate in corrispondenti ricorrenze cristiane. Uno dei simboli più potenti e più adorati dai guerrieri scandinavi era il martello di Thor, un tozzo maglio che fu pian piano trasformato nella croce di Cristo.

Questo passaggio non fu certo facile e per un lungo periodo ci fu una certa resistenza: esistono nella tradizione orale numerosi racconti, forse curiosi per un cattolico, in cui Gesù, il Dio bianco proveniente dal Sud, combatte fisicamente con le vere ed uniche divinità asgardiane, non risparmiando colpi bassi per vincere, non ultimo il corrompere con promesse di doni o con minacce di disastri per conquistarsi più credenti. Se questo può sembrare strano per un italiano, altrettanto strano devono risultare ai nordici alcune tradizioni pasquali della nostra penisola, attenuatesi solo di recente: in occasione della Pasqua si svolgono un infinità di processioni di Incappucciati ed anche di Flagellanti. Chi ricopre questo ruolo sfila in processione lungo le vie della città fustigandosi e recitando preghiere.

In Campania, a Guardia Sanframondi, la gente in processione si auto percuote il corpo con catene metalliche o con una spazzola dotata di denti di ferro, provocandosi copiose perdite di sangue.

In Calabria, a Nocera Tirinese, durante il Sabato Santo chi impersonava il  Vattiante (dal vestito nero, in contrapposizione all’Ecce Homo dal vestito rosso) si poneva davanti la statua della Madonna e si strofinava un panno ruvido sulle gambe, poi le colpiva con un sughero su cui erano infisse tredici schegge di vetro, versando infine una miscela di vino e aceto sulle piaghe. Questo aspetto terrificante del rito pasquale esalta la passione e la morte di Cristo, e si contrappone all’aspetto gaudiente della resurrezione, ben rappresentata dal Risus Paschalis, un fenomeno bizzarro quanto poco conosciuto che ha avuto ampia diffusione nell’ambito ecclesiastico, a partire dal XV secolo. La più antica testimonianza scritta di questo costume è una lettera del 1518, giorno 13 delle calende di maggio. E’ uno scambio epistolare tra Wolfgang Capito di Basilea ed un certo Candido e contiene alcuni giudizi sulla questione del risus paschalis: la mattina di Pasqua, durante la messa della resurrezione, il predicatore suscitava il riso dei fedeli. Questo riso era ottenuto con ogni mezzo, soprattutto con gesti e con parole in cui era predominante la componente oscena. Il sacerdote arrivava anche a mostrare i genitali per attirare l’attenzione dei fedeli. Una pratica forse sconcertante ma che, inquadrata nel periodo storico, ha una sua spiegazione. D’altronde il riso è un atteggiamento fondamentale per l’uomo: nel regno animale, è l’unico capace di tale manifestazione consapevole, l’unico che può esprimere la sua gioia in questo modo. Il riso è proprio dell’uomo, di colui che è vivente; chi ride dimostra di essere vivo. Durante la festa romana dei Lupercali, due giovani venivano sottoposti ad una uccisione e resurrezione simbolica; col coltello bagnato nel sangue sacrificale, si sfiorava la loro fronte, e i giovani, fatti tornare simbolicamente alla vita, dovevano ridere.

In Boezia, presso l’oracolo di Trofonio, nella conclusione del rito iniziatico in cui viveva la propria discesa nel regno dei morti, l’iniziando scoppiava a ridere e ritornava alla vita quotidiana.

Secondo Plinio, che riprendeva un’affermazione di Aristotele, il neonato rideva al quarantesimo giorno dalla nascita, sancendo il vero ingresso nella vita. Gli Jacuti, un popolo dell’Asia del Nord, effettuano un rituale tre giorni dopo la nascita di un bambino: le donne si riuniscono in casa della puerpera per un pranzo rituale in onore della dea del parto Ijesith che lascia la casa; durante il pranzo una delle ospiti comincia a ridere fino a che tutte ridono con lei.

Questo si crede provochi nelle donne la gravidanza. Del riso si hanno tracce nelle culture preistoriche (si rideva per far rinascere a nuova vita la selvaggina, e cacciarla ancora) come anche nella Bibbia (Isacco è il figlio del piacere e del riso). Non bisogna perciò meravigliarsi più di tanto se una festa liturgica solenne come la Pasqua è stata accompagnata per secoli da manifestazioni di riso, solo all’apparenza blasfeme. L’Ostergelachter (come veniva chiamato il Risus Paschalis dal volgo tedesco) ha perso col passare del tempo il suo lato volgare, col passaggio da una gestualità sessuale a soli accenni verbali scurrili, divenendo poi una sorta di predica satireggiante dei potenti o di alcune situazioni controverse, arrivando, anche se profondamente trasformato, addirittura alle soglie di questo secolo.

Concludiamo questo post con una carrellata di simboli, tradizioni e leggende legate alla Pasqua.

La farfalla:

rappresenta il circolo della vita di Gesù. Lo stato di bruco è simbolo della vita terrena, il bozzolo la morte del corpo materiale, la farfalla la resurrezione ad uno stato di vita più elevato.

L’asino:

il ciuffo di pelame che cresce a forma di croce sulla criniera e sul dorso dell’asino castigliano è apparsa da quando uno di questi quadrupedi ha trasportato Gesù a Gerusalemme nella Domenica delle Palme.

La fenice:

simbolo di rinascita in molteplici religioni orientali; l’uccello che muore e rinasce dalle sue ceneri, è simbolo oltre che di resurrezione, di castità, visto che si riproduce per via asessuale. La leggenda vuole che fu l’unico uccello che non mangiò dall’albero proibito dell’Eden. La fenice vive per cinquecento anni, conclusi i quali si costruisce un nido e, accovacciatasi sopra, dà avvio all’autocombustione.

Il coniglio:

simbolo di fertilità, si pensava discendesse dalla fenice, e capace di depositare le uova.

L’uovo:

simbolo di vita nella maggior parte dei culti. Quando si colorano di rosso, si ricorda la tradizione che vuole che dalle mani di Maria, recatasi al Sepolcro, sgorgò sangue che tinse le uova che portava con sè.

L’agnello:

simbolo di purezza. Animale sacrificale di numerosi popoli, accoglie in sè i peccati della gente, che col suo sacrificio vengono espiati. L’istituzione della Pasqua ebraica è collegata nell’Esodo con l’ordine dato da Mosè agli ebrei prigionieri in Egitto di bagnare col sangue di un agnello le porte delle loro case, in modo che queste fossero saltate dal Signore che sarebbe venuto a uccidere i primogeniti degli anziani.

Il pavone:

simbolo di immortalità e resurrezione, perché si credeva che la sua carne fosse incorruttibile e immune alla decomposizione.

Il pellicano:

simbolo del sacrificio. Si credeva che il pellicano nutrisse i suoi piccoli col proprio sangue, che spillava dal proprio petto a beccate.

Il luccio:

sulla testa ha una macchia che può ricordare la croce, tre chiodi e una spada, che si dice, gli apparve quando, durante la crocefissione, tutti gli animali acquatici rimasero nascosti terrorizzati sul fondo del mare, tranne questo pesce.

Il pettirosso:

la tradizione vuole che questo uccello fu creato da Dio senza colori, dovendosi guadagnare la sua coccarda colorata solo col coraggio. Quando un pettirosso, per alleviare le sofferenze di Gesù, gli strappò col becco una spina della corona, si macchiò col sangue, che gli rimase da allora sul petto in ricordo dell’atto pietoso.

Lo scorpione:

annoverato tra le fila del male, perché il suo pungiglione è associato a Giuda Iscariota, come anche al soldato che infilzò con la lancia il costato di Gesù.

La rondine:

il suo garrire è stato interpretato come uno stridulo grido che incita: “Gioite! Gioite!”. Il suo ritorno nei cieli in Primavera, ne ha fatto un simbolo di ritorno alla vita.

Il giglio:

la sua purezza e la sua freschezza ne hanno fatto un’immagine della Pasqua e della Primavera. Era già apprezzato dai romani, che lo dedicarono a Giunone. Successivamente la sua purezza è stata associata a quella di Maria. Come emblema della cristianità, il giglio è usato come elemento decorativo nelle chiese e nelle cattedrali. Durante l’epoca vittoriana però, dai fiori freschi venivano rimossi gli stami ed il pistillo, emblemi di sessualità che, si pensava, avrebbero potuto indurre la congregazione a pensieri impuri.

 

Foto flagellante di Guardia Sanframondi sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported