Chirurgia e guerra sono sempre state intimamente connesse.

Anche oggi, i giovani chirurghi sono gli unici medici che non protestano quando vengono inviati in prima linea: infatti è proprio al fronte che la chirurgia si è affermata, sviluppata e rinnovata.

I primi chirurghi non erano medici, erano barbieri.

Praticavano una chirurgia molto primitiva, che quasi sempre si limitava ad amputare, arrestare il sangue e medicare le ferite.

I barbieri seguivano l’esercito nel corso delle più importanti campagne, e a poco a poco cominciarono a saperne di più sul loro mestiere.

C’era però un grosso inconveniente: non si conoscevano ancora gli anestetici.

Fino al 1890 l’unico anestetico disponibile consisteva in una palla di stoffa stretta fra i denti e una buona bevuta di whisky.

I chirurghi erano guardati con disprezzo dai clinici.

Loro non si degnavano di toccare il paziente con le mani e lo avvicinavano con distacco e sussiego.

Del resto, in una certa misura questo atteggiamento sopravvive ancora ai giorni nostri.

Oggi naturalmente, i chirurghi non sono più barbieri, e viceversa.

Alcuni barbieri tuttavia conservano ancora il simbolo dell’antico mestiere: l’insegna a strisce bianche e rosse, che simboleggia i bianchi indumenti macchiati dal sangue dei soldati.

Ma se anche i chirurghi non tagliano più i capelli, continuano a seguire le truppe: per loro la guerra è fonte di grande esperienza per il trattamento di traumi, ferite, lesioni e ustioni.

La guerra fa progredire la chirurgia.

Gran parte delle tecniche moderne di plastica e ricostruzione somatica sono state elaborate e applicate nel corso della seconda guerra mondiale.

Ciò non significa che i chirurghi siano dei guerrafondai o dei pacifisti; semplicemente che il retroscena storico della professione conferisce loro una mentalità diversa da quella degli altri medici.

 

Foto Barber’s pole di kim traynor sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic