Oggi vogliamo consigliarvi la lettura di un altro classico della letteratura per ragazzi: Le avventure di Tom Sawyer di Samuel Langhorne Clemens, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Mark Twain

(nome che fa riferimento alla misurazione della profondità delle acque del fiume Mississippi a lui tanto caro e che significa “dal segno due braccia”; quindi quando un barcaiolo gridava “by the Mark Twain!” , significava “l’acqua è profonda 12 piedi, è sicuro passare”). Probabilmente Mark Twain, quando si accinse a scrivere Le avventure di Tom Sawyer, non aveva affatto l’intenzione di scrivere un romanzo per ragazzi, ed è forse proprio per questo che, paradossalmente, questo è il romanzo dell’Ottocento che più piace ai ragazzi d’oggi: infatti i romanzi “per ragazzi” del secolo scorso dovevano essere soprattutto educativi, cioè pieni di noiose prediche su come i ragazzi dovevano comportarsi secondo le norme, così severe da sembrare spesso disumane, della pedagogia ottocentesca. Di queste prediche non si trova traccia in Tom Sawyer, romanzo pubblicato nel 1876, ma che sembra opera di uno scrittore per ragazzi del giorno d’oggi, tanto moderno è il tono scanzonato con cui l’autore racconta le deliziose birichinate del protagonista bambino, che lascia il posto ad un altrettanto moderno stile carico di suspense quando il bambino diventa un ragazzo alla soglie della pubertà e le sue birichinate si trasformano in vere e proprie avventure.

Questo romanzo non ha una trama vera e propria, dato che le spassose birichinate e le emozionanti avventure di Tom e dei suoi amici non hanno altro legame che il villaggio in cui esse si svolgono, un piccolo villaggio sulle rive del grande fiume tanto caro a Mark Twain: il Missouri. C’è, al massimo, un elemento che contribuisce alla suspense degli ultimi capitoli: il tesoro di Joe l’indiano, l’assassino nella cui grotta vanno a rifugiarsi da un temporale Tom e la sua amichetta Bechy durante l’ultima e più emozionante avventura. Ma niente paura: Tom ne esce non solo incolume ma anche ricco, perché il tesoro è nascosto proprio in quella grotta. Quella ricchezza Tom la divide con il monello con il quale ha scoperto l’esistenza del tesoro: Huckleberry Finn, l’orfano emarginato da tutto il paese perché non gli piace mangiare con la forchetta e dorme in qualsiasi posto fuori che in un letto con le lenzuola.

Un personaggio molto caro a Mark Twain (visto che ne ha fatto il protagonista di un altro romanzo) e che simboleggia il suo amore per la vita libera a contatto con la natura. A questo personaggio si contrappone quello di Tom che, pur amando le avventure, non sa rinunciare alle comodità della vita civile, nella quale c’è si qualche fastidio, ma c’è pure qualcosa di buono, come le squisite torte della sua zia Polly. Ma esiste una morale in questo romanzo? L’unica morale che si può trarre è che i ragazzi devono giocare e divertirsi e che, quanto a marachelle, i grandi ne commettono di molto peggiori. Non dobbiamo dimenticare poi, che Twain fu un fine umorista, anche se alcuni critici negano allo scrittore la dote dell’umorismo ma gli riconoscono una certa comicità che scaturisce dall’assurdo e dall’imprevedibilità delle situazioni. Umorista o no, Mark Twain fu comunque un grande “caso” letterario: non ebbe una normale istruzione(lasciò la scuola a 12 anni); non fu autodidatta (nel senso che non si applicò allo studio di testi religiosi, filosofici o politici per farsi una cultura); ed almeno fino all’età di 35 anni imparò solo grazie all’esperienza diretta, grazie ai contatti personali. Ciò nonostante, si formò un formidabile bagaglio di nozioni sugli uomini, sui caratteri, sui tipi di conversazione, sui paesaggi, sulla natura che trascrisse poi fedelmente nei suoi romanzi. Fu perciò un ottimo reporter, malato di nostalgia; e fu un grande scrittore che osò usare il vernacolo americano e le intonazioni dialettali con la loro sintassi traballante creando uno stile libero dai canoni tradizionali, uno stile nuovo e personalissimo.

 

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