Oggi parleremo di due sacerdoti vissuti a secoli di distanza l’uno dall’altro e tuttavia legati dal destino.
Nel XVI secolo, padre Athanasius Kircher era noto come il Leonardo da Vinci dell’ordine dei gesuiti.

Al pari di Leonardo, il religioso poteva considerarsi un autentico uomo rinascimentale, esperto di molteplici discipline; studioso di biologia, medicina, geologia, cartografia, ottica, persino ingegneria (inventò infatti anche macchine complesse come ad esempio un orologio magnetico e automi meccanici).
Ma la sua vera passione erano le lingue.

E’ stato il primo a individuare una correlazione diretta tra l’antico egizio e le lingue copte in uso ancora oggi.

Molti lo considerano il vero fondatore dell’egittologia.

E in effetti ha scritto opere fondamentali sui geroglifici.
Padre Kircher fondò anche un museo al Collegio Romano, dove insegnava e conduceva le sue ricerche.

Il Museo Kircherianum conteneva una colossale collezione di antichità, oltre alla vasta biblioteca del gesuita e a parecchie delle sue invenzioni.


Nella primavera del 1669 fu chiamato a Zagabria per dirigere i lavori della fortificazione intorno alla cattedrale.

All’epoca gli ottomani costituivano una minaccia costante per la regione croata, così si era reso necessario dotare la cattedrale di una cinta muraria e padre Kircher fu convocato di persona dall’imperatore del Sacro romano impero, Leopoldo I, per partecipare al progetto di una torre di guardia sul lato sud, come postazione di osservazione militare.
La leggenda vuole però che l’imperatore in realtà avesse chiamato il gesuita per un altro scopo e che il suo coinvolgimento nella costruzione della torre fosse solo una scusa per coprire il suo vero incarico, tant’è vero che si assentò dal cantiere sparendo per settimane.
Il reverendo padre era noto anche per il suo interesse per i fossili e i resti dei popoli antichi infatti la sua opera, Mundus subterraneus, tratta ogni aspetto della terra, dalla geologia alla geografia, dalla chimica alla fisica.

A ispirarlo era stata una sua ascensione al Vesuvio, poco prima dell’eruzione del 1637.

Per approfondire la propria comprensione del vulcanismo, padre Kircher si era addirittura calato nel cratere fumante.
Si era convinto che il sottosuolo fosse un intricato reticolo di tunnel e bacini d’acqua grandi come oceani, e in cerca di questo mondo sotterraneo, raccolse e classificò migliaia di reperti.
Nelle grotte dell’Italia settentrionale, padre Kircher scoprì anche delle ossa molto grosse.
Appartenevano alle zampe di un mammut, lui però le aveva attribuite a una razza di giganti che avrebbero abitato la terra insieme con i primi uomini.
Come possiamo notare alcune delle sue teorie sono piuttosto bizzarre, ma bisogna anche ricordare in che tempi è vissuto, costretto a interpretare il mondo con gli strumenti e le conoscenze disponibili allora.

Per questo il Mundus subterraneus contiene molte ipotesi fantasiose, dai mostri antichi alla localizzazione del continente perduto di Atlantide.


Negli ultimi anni della sua vita, ormai anziano, padre Kircher si ritirò nella campagna italiana dove, durante una gita, scoprì le rovine di una chiesetta abbarbicata come un nido d’aquila sulla sommità del monte Guadagnolo, che dominava la valle del Giovenzano: il santuario della Mentorella, fatto costruire dall’imperatore Costantino in memoria di sant’Eustachio.
Rinvenuta la chiesetta dimenticata tra i monti, Kircher decise di restaurarla, raccogliendo i fondi necessari ed eseguendo i lavori di ristrutturazione.

Pare se ne sia occupato di persona, contribuendo ai progetti, dirigendo lui stesso la fabbrica e mettendo il cantiere sotto stretta sorveglianza.

In base alla documentazione storica, l’interesse di Kircher per quel sito divenne quasi ossessivo.

Il vecchio gesuita visse là i suoi ultimi anni, chiedendo persino di essere tumulato nel santuario.
Stranamente però solo il suo cuore è sepolto là.


Al di là di tutto comunque, la mente e le opere di quest’uomo di spirito rinascimentale esercitarono la loro influenza sulle personalità più disparate e di epoche diverse, da Cartesio a Newton, da Jules Verne a Edgar Allan Poe.
E una in particolare; padre Carlo Crespi.
Il salesiano Carlo Crespi, nacque secoli dopo, nel 1891.


Ispirato dall’esempio di Kircher, arrivò al punto di emularlo, studiando la scienza con lo stesso fervore dedicato alla fede e diventando così a sua volta un uomo dal multiforme ingegno.
Era botanico, antropologo, storico e musicista.

Infine, seguì la sua vocazione fino a un piccolo centro dell’Ecuador, Cuenca, dove fu prete missionario salesiano per cinquant’anni, fino alla sua morte.

Nel periodo passato in questo posto però entrò in possesso di un ricco tesoro di antichi manufatti d’oro, consegnatogli dai nativi Shuar della regione.

Circa settantamila oggetti.
Da dove proveniva un bottino simile?
Secondo le leggende, quegli oggetti provenivano da un sistema di gallerie che attraversava il sottosuolo sudamericano in tutta la sua ampiezza e si diceva comprendesse una collezione di libri incisi su tavolette di metallo e cristallo andata perduta.
I reperti raccolti dal padre salesiano contenevano a loro volta strane illustrazioni e iscrizioni in geroglifici indecifrabili.
Alcuni archeologi ritenevano si trattasse di contraffazioni; altri credettero al racconto delle loro origini riferito dal sacerdote.
Gli studiosi che esaminarono la collezione, notarono che i motivi e le raffigurazioni su molti degli oggetti sembravano più coerenti con altre culture: assira, babilonese, egizia.
Su altri oggetti gli esperti identificarono geroglifici egizi, caratteri libici e punici, persino simboli celtici.
Secondo padre Crespi questa era la prova di scambi tra una civiltà perduta nascosta nella giungla e il resto del mondo antico, con contatti risalenti addirittura alla preistoria.
Tra i doni dei nativi ve ne erano alcuni notevolmente strani; meccanismi di rame resistenti quanto l’acciaio, e curiosi tubi di ottone senza traccia di filettature.

Tutti esempi di una metallurgia di gran lunga superiore alle capacità tecnologiche delle tribù locali.
Quale che fosse la verità, la collezione andò quasi distrutta in un misterioso incendio scoppiato nel 1962 nel museo che la custodiva e i reperti rimasti indenni furono confiscati dal governo dell’Ecuador.
Poco dopo la morte di Crespi, nel 1982, gli oggetti presero strade diverse.

In gran parte furono chiusi nei caveau dei musei per ordine del governo ecuadoriano (tutt’oggi per vederli serve un permesso speciale).
Gira anche voce che alcuni pezzi siano stati prelevati e spediti direttamente in Vaticano.
Alla stregua di tutto quello che abbiamo detto, sorge spontanea una domanda: quanta parte del racconto di padre Crespi è veritiera e quanta, invece, pura invenzione?
Nessuno lo sa.
Ma due elementi restano innegabili: il tesoro del sacerdote è davvero esistito e Crespi credeva fermamente che i reperti fossero autentici.
D’altronde sembra assurdo che gli indios avessero usato oro e pietre preziose per forgiare dei falsi, e Crespi stesso non era certo un ingenuo, ma un erudito con dottorati in varie discipline e, avendo vissuto sul posto per decenni, conosceva la regione e i suoi abitanti molto meglio di qualsiasi archeologo.
La cosa curiosa è che ci sono prove documentate di un sistema di tunnel sotterraneo in quella zona delle Ande.

L’estensione è enorme e nessuno l’ha mai esplorata nella sua interezza, ma esistono foto e mappe realizzate da una spedizione di ricerca anglo-ecuadoriana nel 1976.
Questa spedizione composta da scienziati e militari cercò di localizzare la misteriosa città perduta a cui faceva riferimento Crespi, ma finì con l’imbattersi solo in un complesso sistema di gallerie e identificando centinaia di nuove specie di piante, pipistrelli e farfalle.
Il capo della spedizione era un americano, nientemeno che Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna.


Cosa può aver spinto fuori dal suo isolamento quell’eroe americano tanto riservato da concedersi di rado anche solo alle interviste?
Questo lo scopriremo nel prossimo post.

 

Foto Santuario della Mentorella di Laki 1970 sotto licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

Foto Carlo Crespi da legnanonews.com